INTERPRETI E DIPLOMAZIA: TRADUZIONE, MANIPOLAZIONE E “IMBROGLIO” NELLE TRATTATIVE SUL CONFINE VENETO-OTTOMANO IN DALMAZIA ALLA FINE DELLA GUERRA DI CANDIA
DOI:
https://doi.org/10.22586/review.v17i1.19690Keywords:
dragomanni, frontiera dalmata, confini, diplomazia, informazione, traduzione, manipolazione, imbroglioAbstract
Alla fine della guerra di Candia, i confini lungo la frontiera dalmata rappresentarono una questione di particolare interesse per i Veneziani e gli Ottomani. Questo saggio si sofferma sul ruolo dei dragomanni, figure che, nelle negoziazioni postbelliche relative alla questione confinaria, giocarono una funzione primaria accanto ai rappresentanti diplomatici (l’ambasciatore straordinario per la Serenissima, da una parte, e il gran visir
ottomano, dall’altra) e ai due commissari specificamente delegati alla definizione della nuova “linea Nani”. Generalmente, nei testi ufficiali degli accordi diplomatici e confinari i dragomanni appaiono perlopiù nel ruolo di interpreti che essi ricoprivano a livello formale. Tuttavia, sulla base di
documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Venezia, è possibile
osservare che, lungi dall’essere dei semplici traduttori, i dragomanni assumevano la poliedrica veste ora di intermediari e portavoce dei rappresentanti diplomatici, ora di negoziatori, ora di confidenti e informatori, se non
addirittura di spie. Grazie alle capacità linguistiche, alle abilità diplomatiche e agli stretti legami familiari e sociali intessuti con le comunità locali
(musulmane e non), essi occupavano una posizione privilegiata all’interno
della rete diplomatica e informativa che si estendeva in tutto il Levante
ottomano, intrattenendo, in via pressoché esclusiva, un contatto costante
e diretto con i ministri e i sudditi del sultano.
In particolare, Ambrogio Grillo e Tommaso Tarsia, dragomanni al servizio
della Repubblica di Venezia, nonché il “grande dragomanno” del Divano
Panaiotis Nikousios, appaiono, secondo la documentazione proveniente dalla Casa del bailo a Costantinopoli, quali veri e propri protagonisti nella conduzione delle difficili trattative diplomatiche e confinarie che seguirono alla guerra di Candia. Pertanto, le negoziazioni postbelliche che questo saggio analizza come emblematico caso di studio sono oltremodo rappresentative del singolare ruolo giocato dai dragomanni che, profittando delle
capacità linguistiche ch’essi possedevano in via quasi esclusiva, non erano soltanto in grado di condurre le trattative ma, talora, anche di manipolarle attraverso l’“imbroglio” cui potevano con facilità ricorrere intervenendo strategicamente nel lavoro di traduzione da un idioma all’altro.
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