Original scientific paper
Su alcune “omissioni” e su una traduzioncella intenzionalmente sbagliata rimaste finora inosservate nella monografia Das Dalmatische di Matteo Giulio Bartoli (1906)
Žarko Muljačić
Abstract
Il movente che mi permise di identificare alcuni “peccati politolinguistici”
del Bartoli non aveva come scopo di provare che lui (e non fu solo nella
sua generazione) in pratica usava spesso capovolgere la nota massima in: Amica
veritas, sed magis amicus Plato. Volevo semplicemente controllare se fosse
vero che il suo celebre esaminando, ossia l’ultimo vegliotofono, fosse morto
il 10 giugno 1898 all’età di 77 anni. La matricola rispettiva della parrocchia di
Krk / Veglia non lo permette (era più giovane di due anni e passa). Il rispetti-vo Liber baptizatorum prova che era nato il 28 agosto 1823. Nessuno impediva
al Bartoli di ricorrere alla stessa fonte. Sono quasi certo che lui lo abbia fatto
ma che abbia poi deciso di non renderlo pubblico visto che nell’atto di battesimo
figurava anche il nome di sua madre finora ignoto che si chiamava, in ortografia
latina, Maria Pribich. Una slava (secondo ogni probabilità una croata
oriunda dalla Croazia continentale, dunque una stocava) come madre dell’ultimo
“Latino dell’Illirico”! Pubblicarlo sarebbe stato un ‘sacrilegio’ e forse
avrebbe anche nociuto alla credibilità dei materiali pubblicati in Bartoli 1906.
La traduzione travisata investe una breve frase: l’ultimo vegliotofono Antonio
Udina detto il Búrbur intendeva constatare, con rammarico, che gli abitanti
della città di Krk / Veglia, nel 1897, non erano più (quasi) tutti quanti
italiani come lo furono nei tempi della sua giovinezza non sapendo che il
dotto dottorando l’avrebbe “frainteso” (per non dire “falsificato”). Si tratta di
una sola forma verbale, del veglioto fume (proveniente chiaramente dal latino
FUIMUS) che il Bartoli “tradusse” con siamo: “Noi siamo nella città di Veglia
tutti quanti Italiani”. Chi confronta simili misfatti con quelli di impronta
fascista (Bartoli, 1930.) sarà indotto a parafrasare il detto di un Grande, si
capisce in peius: “C’est un système où tout se tient”. Con ciò non intendo svalutare
i risultati del Bartoli nel campo della linguistica generale mondiale. Ma
dire cose non provate, per es. che Graziadio Isaia Ascoli fosse stato quasi un
prefascista, che abbia imparato lo sloveno a Milano (e non nella nativa Gorizia)
e che, per giunta, N. Tommaseo, figlio di madre croata e autore di un libro
stampato in croato (nel 1844.), abbia imparato il croato piuttosto a Firenze
che nella nativa città di Šibenik / Sebenico a un uditorio di non linguisti
(sia pure con alcune piccole riserve) non ha altro valore che quello di ricordarci
che alcuni scienziati non sono stati sempre immuni da macchinazioni messe
in giro da politici.
Keywords
Croatian dialectology; Dalmatian; Mateo Bartoli
Hrčak ID:
148080
URI
Publication date:
14.7.2008.
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