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La chiesetta di Sant ' Elia vicino a Donji Humac in isola di Brač

Igor Fisković ; Filozofski fakultet u Zagrebu
Vicko Fisković


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str. 4-36

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Le spolia in edifici medievali lungo la costa croata rientrano nella casistica generale dell'utilizzo di materiale lapideo antico nelle realizzazioni della nuova architettura cristiana in Mediterraneo. In maggior parte dei casi si tratta di un pragmatismo economico, poiché era sempre più semplice riutilizzare le pietre già pronte, in fatti prese dalle rovine romane dopo la caduta del grande Impero che preparare il nuovo materiale. Questa fu una prassi diffusa nelle città e nel contado, parallela al declino assoluto delle numerose cave romane essistente in Provincia di Dalmazia. Avvenuti cambiamenti etnici e politici, non tutte le costruzioni monumentali corrisposero alle generazioni della società medioevale, ed esse abbandonate diventano la fonte del materiale edile di qualità, utilizzato per la costruzione delle nuove, molto piu modeste architetture. Il processo del riutilizzo di prodotti della lavorazione di pietra dal’antiquita romana, quindi, da un lato rivela la storia burrascosa di questo spazio liminale del mondo occidentale, e dall'altro contribuisce alla delineazione della sua identità culturale gettando luce sulla dicotomia discontinuità - continuità nell’articolazione del primo stile e del linguaggio architettonico nel medio evo.
Il fenomeno di riuso fu trattato abbondantemente nella storiografia, ma andando oltre una secca registrazione d'utilizzo del materiale dall’antiquita in Dalmazia, ci interessano i casi in cui le spolia furono utilizzate per corrispondere alle esigenze più nobili, che siano ideologiche o spirituali, della popolazione che ereditò gli spazi acculturati dai
Romani secoli addietro. Alcuni esempi hanno un significato emblematico per la comprensione non solo delle relazioni con il passato dei Croati cristianizzati e della stabilizzazione di una cultura giovane germogliata sulle rovine di quella vecchia, ma anche per il riconoscimento delle conseguenze estetiche o etiche del riuso.
In questo contesto, un posto speciale prende la chiesetta di Sant'Elia, una di una ventina di chiese sopravissute dal periodo della prima fioritura dell'edilizia romanica in isola di Brazza - Brač. Essa si trova in parte occidentale dell'isola su una collina sopra la vallata distesa e fertile abitata già nell'antichità, e intorno alla chiesetta sono visibili diverse tracce degli interventi, tra cui sono piu importanti i basamenti di un mausoleo su un tipo di stilobate. Anche se del mausoleo rimane poco, la sua esistenza determinò alcune caratteristiche della chiesetta, dato che essa fu completamente edificata con la pietra direttamente presa dall'edificio pagano che tuttora rimane impossibile ricostruire.
Al livello di piano terra apena si riconosce la cella rettangolare o "camera mortuaria", delimitata dalle quattro pietre monolitiche, è coperta fino a meta con una lastra gigante.
La cavità sepolcrale oggi non è molto profonda, e pur non essendoci dati sulle indagini archeologiche, si vede la piattaforma delimitata dai blocchi di pietra regolari, mentre nel suo centro si alcava un'architettura articolata separatamente. In vicinanza furono trovati i pezzi di due sculture, ma essi da soli non risolvono la questione dell'uso originale del monumento. Poco informativi sull'aspetto e sulla struttura della sua elevazione sono gli sparpagliati frammenti di pilastri con parte media arrotondata. L’immagine complessiva sarà più chiara solo dopo le indagini archeologiche, ma senza dubbio si trattava di un architettura romana di qualità, probabilmente simile a un piccolo tempio. La sua funzione sepolcrale è indicata dai frammenti di un sarcofago finora sconosciuto, di cui rimane solo una piccola parte inferiore con una bassa base sporgente e un angolo del lato esteriore con una cornice intagliata, probabilmente dell'iscrizione.
Gli elementi elencati dell’edificio romano portano ad alcune logiche conclusioni, ma ci interessa di piu l’edificio sacro medievale ancora integro che apre una serie di questioni.
Non essendo menzionato nelle fonti scritte, la sua datazione rimane imprecisa con tutto cio che la chiesetta rientra nella tipologia della prima epoca del romanico dalmata, che dalla fine del 11° secolo si diffuse anche in Brazza. La chiesetta si presenta asettica e semplice, ed apre certe domande proprio per la sua coerenza morfologica e la profondità degli strati culturali che gradualmente rivela. Fin da subito è chiaro che i blocchi cubici di pietra ben lavorati ed in diverse dimensioni di cui sono stati costruiti i muri furono utilizzati dai costruttori senza alcun rispetto con la esperienza romana in situ. Con tutto cio la chiesetta evidentemente ha le caratteristiche dello stile regionale dal medioevo, mentre numerose spolia immurate commisurano la sua proporzione di base. In questo si ravvisa uno dei principi elementari, quello della negazione dell'antico, in quanto i resti del picolo mausoleo romano resero meno difficile la costruzione, ma non influenzarono la formula architettonica della chiesetta di S. Elia.
Come dimostrano i disegni qui riprodotti, il materiale di spoglio è più visibile sulle parti anteriori dell'esterno della chiesetta. Le sue facciate sono composte dai blocchi cubici di diverse dimensioni, ordinati orizzontalmente o verticalmente, con la superficie piatte, molto regolare. Questi blocchi rivelano il modo di lavorazione dell’antichità romana, mai raggiunta nell'edilizia rurale medievale sull'Adriatico orientale. Tutti i blocchi grossi, ma anche quelli più piccoli inseriti tra i grandi, furono lavorati nella stessa maniera, ottenendo una rara compattezza del volume architettonico. I blocchi maggiori sono razionalmente distribuiti nelle zone inferiori, mentre alcuni sul lato meridionale della chiesetta facevano parte di un fregio con le modanature girate verso l'interno del muro. Insieme, dunque, alla disponibilità del materiale che capitò sotto le mani dei muratori, si cercò di ottenere una severa geometria del corpo architettonico e l’uniformità delle sue facciate. Qui la relazione tra l'antico e il nuovo si rivela bipolare, attiva e passiva nello stesso momento, che sarebbe un metodo caratteristico dell'uso delle spolia antiche negli edifici medievali della Dalmazia.
La distribuzione dei blocchi si conforma al metodo generale che il romanico ereditò dall'antichità, che diminuisce solo nelle zone superiori dei tutti muri posteriori, costruite dai pezzi più piccoli e irregolari. Le pietre simili sono presenti anche sull'esterno dell'apside, dove sono visibili le spolia in senso più stretto della parola, dato che si ravvisano alcuni resti delle modanature con ghirlande floreali in basso rilievo riconducibili all'epoca tardo antica. Inoltre, con poca attenzione sono stati immurati anche frammenti di alcune iscrizioni, rozzamente rotte e mescolate con altri pezzi di pietra: uno sul muro meridionale e due sul orientale. Pur essendo incompleti e poco leggibili, essi furono registrati molto tempo fa, ma rimane aperta la questione se provenivano da quel sarcofago spezzato, o da qualche altra opera romana distrutta. In ogni caso, la loro posizione, come anche la posizione dei fregi antichi sul edificio cristiano, rivela che questi frammenti persero ogni significato per i costruttori del 12° secolo quando bisogna datare la chiesetta essistente.
Nonostante la generale tendenza della negazione dell'antico, quello che cattura l'attenzione è il fatto che il corpo della chiesetta, per chiare ragioni statiche, si sovrappose esattamente all'angolo sud-est della piattaforma della mausoleo originale, con l'apside che sconfina questo recinto, una volta forse più alto. Pare che questa fu un’operazione cosciente, con l'intenzione di tenere il locus dell'altare fuori dallo spazio del contenuto pagano. Nel caso, qui si tratterebbe di un atto di attiva negazione ideologica dell'antico, utilizzato fino a un certo punto, secondo il postulato del pragmatismo economico che indusse l’uso della grande quantità del materiale di spoglio sulla chiesetta di Sant'Elia.
Intrigante un altro dato: l'area dov'è situato il santuario medievale si chiama "Poganica", e questo toponimo croato forse indica il luogo dei antichi riti pagani.
Lo spunto ideologico negativo verso l'antichità e visibile anche all'interno della chiesetta, dove regna la metrica tettonica. Le pareti laterali dell'unica navata sono ritmate dalle tre grandi nicchie rettangolari con la chiusura semicircolare, una soluzione tipica per tutto il periodo romanico sulla costa orientale dell'Adriatico, ma questo esemplare rivela una regolarità geometrica sorprendente per un ambiente rurale. Tutti gli elementi della costruzione architettonica furono dunque dipendenti delle dimensioni dei blocchi lapidei antichi, che in questo caso non risolvevano solo il problema della resistenza statica, una funzione assunta dalla maggior parte delle colonne antiche riutilizzate negli edifici medievali lungo la costa adriatica. Dal lato orientale lo spazio è chiuso da un’abside i quale ripetendo la sezione dello spazio principale è sormontata da una semicalota sulle trompe.
Essendo l'interno completamente intonacato, il tessuto murario oggi non è visibile, ma le spolia sono visibili in un punto: gli imposti dell'arco trionfale sono due frammenti di una cornice antica con i dentelli tra modanatura con fogliame finemente intagliato e una cima superiore. Qui l'approccio è sostanzialmente diverso di quello applicato al materiale di spoglio all'esterno dell'abside, dove i pezzi con le iscrizioni o decorazioni vegetali sono distribuiti senza un'intenzione estetica o qualche altro effetto positivo.
Forse in quell'occasione si risolverà un’altra questione che attrae un'attenzione particolare relativa al tema delle spolia. Si tratta di un caso raro: due stipiti d'altare che questa chiesetta possiede, uno principale al centro dell'abside e il secondo in angolo della navata presso il muro meridionale. Sul lato anteriore entrambi hanno incisa una croce latina, simile a numerose altre in Dalmazia centrale dette del tipo salonitano, risalenti all’epoca del 5 / 6° secolo. A Sant’Elia, gli stipiti potrebbero essere anche delle copie romaniche di questo motivo popolare, ma è molto più probabile che si tratti delle spolia antiche con un senso specifico. Inoltre, una terza pietra con la croce dello stesso tipo ed identica misura si trova sul selciato della nave, il che indica che predatano la costruzione del edificio. Quest'ultima pietra fu utilizzata per formare un gradino di rialzo del presbiterio, cosi che non è sufficiente considerarla una semplice prova del pragmatismo economico.
Pur essendo insolito l'uso di una pietra voluminosa con il segno della croce interrata tra le lastre del pavimento, è importante notare che le due pietre identiche ebbero un posto prominente come postamenti di altari, di cui quello laterale serve per i doni in natura prima del servizio liturgico, seguendo la prassi paleocristiana. Un'operazione simile si nota nella chiesetta romanica di San Michele sopra il villaggio di Dol, l’altra alla chiesetta di S. Clemete, sempre in isola di Brazza, confermando la tesi che frammenti di pietra con le incavate croci paleocristiane in Dalmazia furono utilizzate nel rito della consacrazione degli edifici di culto medievali.
In questo caso, però, i tre piloni corti con le croci incise molto probabilmente indicano una fase diversa nella vita del luogo. Essa dovrebbe cronologicamente inserirsi tra le costruzioni antiche romane e quelle del primo romanico, cosi che si apre la questione se il ambiente pagano avesse una consacrazione prima del 12° secolo, ovvero se il mausoleo romano fosse utilizzato molto presto in una funzione cristiana. La sua esistenza potrebbe essere corroborata anche dal modo in cui furono rotte le due sculture: lo spezzare delle gambe e delle parti superiori del corpo con le teste, avrebbe potuto essere un modo per impossibilitare l'individuazione del loro significato originale. E’ importante notare che i loro frammenti non furono utilizzati come spolia nella chiesetta, ma gettati nelle vicinanze, insieme ai pezzi del sarcofago ugualmente barbaramente distrutto. E possibile dunque pensare a una distruzione se non proprio rituale, allora simbolica dei resti pagani. In ogni caso trovandosi in zona diverse cave romane, il materiale di qualità fu abbondante durante l'erezione del santuario cristiano, ma per i suoi costruttori era piu facile prendere la pietra gia elaborata dai Romani. Anche i frammenti delle iscrizioni antiche furono incorporati nella nuova architettura evidentemente senza nasconderli, e diversi furono completamente cancellati. Tutti questi frammenti furono dunque resi insignificanti, rendendo questionabile l’intenzione cosciente dei muratori medioevali che agirono in questo modo decostruendo l'architettura romana trovata al luogo stesso. Pero, ci sono segni che essa e stata consacrata dai cristiani in uno momento anteriore del Medio evo maturo. Per tutto questo, le spolia sulla detta chiesetta medievale vicino al insediamento Humac Donji, dove la chiesa parrocchiale dedicata alla Madonna ha - come unica in isola - gli affreschi romanici, richiedono le ulteriori ricerche.

Ključne riječi

Hrčak ID:

95073

URI

https://hrcak.srce.hr/95073

Datum izdavanja:

21.12.2011.

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