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Original scientific paper

https://doi.org/10.34075/cs.58.1s.16

Praying with books: book commissions and graphic varieties at the monastery of Santa Maria of Zadar (XI-XIII centuries)

Simona Gavinelli orcid id orcid.org/0000-0002-9999-8311 ; Catholic University of the Sacred Heart, Milan, Italy


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Abstract

The beautiful liturgical manuscripts, illuminated and written in the Bari-Type beneventana for the Benedictine abbey of St. Mary of Zadar, founded by the aristocratic Čika and Vekenega in 1066 (two books of hours Budapest, Magyar Tudományos Akadémia Könyvtár, K 394 and Oxford, Bodleian Library, Canonici Lit. 277, and Evangelistary Oxford, Bodleian Library, Canonici Bibl. lat. 61), together with the monastery cartulary (Zadar, Arhiv Benediktinskog Samostana sv. Marije, S.N.), focus the high cultural level of the powerful religious center and show an interesting multigraphic panorama of mutual influences (Bari-Type beneventana, Carolingian minuscule o praegothica) in different calligraphic degrees, up to the most disjointed forms of the obituary additions in the calendars.

Keywords

manuscripts; St. Mary of Zadar; graphics; liturgics books

Hrčak ID:

310260

URI

https://hrcak.srce.hr/310260

Publication date:

29.11.2023.

Article data in other languages: italian

Visits: 252 *




I libri, specialmente se liturgici, rappresentano il perno su cui ogni comunità religiosa cadenza, secondo le ore canoniche, l’ opus Dei quotidiano attraverso la partecipazione alla messa e alla cantillazione dell’ufficio divino.

La fiorente città commerciale di Zara -, la romana ( Jadera) passata nell’orbita bizantina con il Regno di Croazia e Dalmazia -, dagli inizi del secolo XI entrò nelle mire espansionistiche di Venezia (interessata al controllo delle rotte orientali lungo l’Adriatico) per cui le dinastie locali, di maggiore identità etnica slava, nel tentativo di sottrarsi alla dominazione-veneziana cercavano piuttosto come interlocutore politico il Papato che, proprio durante i secoli XI-XII, puntava alla propagazione della riforma di rinnovamento ecclesiale inglobando anche le regioni adriatiche dell’Oriente europeo come argine verso la progressiva espansione del monachesimo greco-basiliano1. A Zara quindi, dopo la frattura determinata, di riflesso, dalla dissoluzione dell’impero carolingio, la ripresa culturale cominciò a riattivarsi verso la fine del secolo X, guidata proprio dal monachesimo benedettino-cassinese e, nello specifico, mediante un intenso flusso di scambi con il monastero pugliese di Santa Maria alle isole Tremiti (avvantaggiato dalla sua posizione strategica in prossimità del promontorio del Gargano); in prevalenza da qui provennero in effetti i modelli grafici assunti dalla produzione libraria di area dalmatica, progressivamente incrementati nella loro circolazione secondo l’ottica missionaria della cosiddetta riforma gregoriana promossa dalla Chiesa romana2.

Nel Cartulario di Santa Maria alle isole Tremiti ( Chartularium Tremitense, Vat. lat. 10657), ricopiato in beneventana agli inizi del secolo XIII prima del passaggio del cenobio all’osservanza cistercense (1237), il breve recordationis del 1023 fa appunto emergere il contesto della fondazione del cenobio di San Benedetto/Sveti Benedikt (poi Santa Maria/Sveti Marije) di Lacroma (Lokrum), riconducibile all’istanza corale della cittadinanza ragusina che, preceduta dal vescovo Lamprediussi era rivolta al monaco Pietro/Petar di Ragusa/Dubrovnik (formatosi a Santa Maria delle Tremiti) per donargli un terreno sulla medesima isola di Lacroma con la clausola di costituirvi una comunità monastica benedettina3.

Per i secoli XI-XIII le sopravvivenze librarie, scarse ma significative, documentano un intreccio di tradizioni grafiche e iconografiche che, nella prima fase del radicamento di evidente matrice cassinese, assume la chiara tipizzazione della scrittura beneventano-dalmatica (Bari-type) stilizzata soprattutto all’interno dello scriptorium di San Grisogono/Sveti Krševan di Zara (fondato agli inizi del secolo X mentre era priore Andrea/Andrija della schiatta aristocratica dei Madii/ Madijevci, che avrebbe dominato la città fino al secolo XII)4; l’evoluzione conseguita dall’andamento grafico lungo il secolo XIII è individuabile nella riduzione modulare e nella maggiore angolosità del tracciato, addebitabile con tutta probabilità all’influsso della littera textualis, in avanzamento anche tramite gli apporti della rotunda universitaria bolognese5. Nello stesso ambito territoriale aveva conosciuto uno sviluppo parallelo pure la minuscola ordinaria di base carolina, più familiare alla componente veneziana, da cui derivava soprattutto la prassi documentaria, rilevabile, ad esempio, nell’adozione prevalente della chartula/cartula, nella struttura dei formulari (benché localmente più stringati), e soprattutto nel ricorso ai sacerdoti in funzione di notai e cancellieri per i praecepta regi6. Anche nei documenti si coglie il progressivo travaso scrittorio dalla beneventano-dalmatica verso la minuscola di transizione, che a Zara pare attuarsi già alla fine del secolo XII con reciproche influenze tra i due sistemi grafici.

Nell’organizzazione ecclesiale del Regnum di Croazia e Dalmazia, con cui anche il papato continuava a risaldare le proprie relazioni politiche, un personaggio di spicco fu l’arcivescovo di Spalato Lorenzo/Lovro Dalmata (1060-1099), fautore del rafforzamento dei culti mediante la liturgia in latino, e a cui si deve anche la nomina a vescovo di Traù/Trogir del camaldolese Giovanni Ursino (ⴕ 1111), considerato santo dalla chiesa locale (e più noto come san Giovanni di Traù/sveti Ivan Trogirski)7. Già nel primo meritorio Codex diplomaticus Regni Croatiae, Slavoniae et Dalmatiae, raccolto alla fine dell’Ottocento da Ivan Kukuljevi¢- Sakcinski (1816-1889), compare una sua donazione del 1069, redatta dal proprio cancelliere che, come nel caso di Lacroma, veniva assicurata a un gruppo di aristocratiche di Spalato/Split per promuovere l’attivazione di una cellula monastica femminile guidata dalla badessa Chatena/Katena, ma dove, tra i numerosi testes che avevano il compito di corroborare l’ actio giuridica, figurava anche il monaco veneto Giovanni8.

Come manifesto della riforma della Chiesa del secolo XI dai monasteri dell’Italia centrale, dove erano commissionati per iniziativa pontificia, venivano diramati con irraggiamento dal centro alla periferia, molti manoscritti essenziali per le rinnovate comunità monastiche e canonicali, tra cui le maestose Bibbie atlantiche (con la serie completa dei libri, magari scissa in due tomi, comunque di grandi dimensioni), connotate in particolare da vistosi capilettera decorati in stile umbro-toscano, oppure i passionari, alcuni specifici testi di diritto canonico e la significativa produzione del papa-monaco Gregorio Magno (ⴕ 604)9.

In un quadro generale piuttosto complesso il duca Dimitar Zvonimir (ⴕ 1089), forse sempre per garantirsi gli appoggi dinastici contro le mire veneziane, nel 1076 aveva forse tentato un avvicinamento all’orbita di papa Gregorio VII (1073-1085) accettando l’incoronazione ufficiale a re di Croazia e Dalmazia (1075-1089) da parte di due legati pontifici -, ricompensata comunque con un lauto tributo versato alla Chiesa romana che includeva il ricco monastero regio di San Gregorio/ Sveti Grigorije di Vrana ( Laurana) -, con la conseguenza di sollevare un generale malcontento, sfociato in ostilità interne culminate nella sua violenta uccisione10.

Come si è anticipato il monachesimo cassinese fu impiantato a Zara verso il 986 con il cenobio di San Grisogono/Sveti Krševan (la chiesa originaria risaliva almeno all’890), in una sorta di ri-fondazione realizzata con la partecipazione di tutta la cittadinanza preceduta dal vescovo Anastasio (ante 978-post 981) e seguendo una ritualità che sarebbe diventata ricorrente11: durante il priorato di un esponente della dirigenza dei Madii/Madijevci, l’avvio ufficiale del monastero di San Grisogono, destinato a diventare il principale centro scrittorio urbano, veniva dunque affidata a un omonimo Madio, membro quindi della stessa élite zaratina, ma educato direttamente a Montecassino durante l’abbaziato di Aligerno (948-985), con la possibilità di sfruttare la il ricco appannaggio librario. Dalla seconda metà del secolo XI nella produzione grafica zaratina si riconosce più che altro l’apporto delle fondazioni della costa adriatica, dove comunque risulta evidente l’assimilazione dei vertici grafici e artistici raggiunti nella lunga parentesi dell’abate Desiderio di Montecassino (1072-1086)12.

Per le comunità religiose, soprattutto altomedievali, l’esibizione di arredi liturgici raffinati, come libri scintillanti di miniature dorate, suppellettili realizzate in metalli preziosi e tessuti costosi da custodire nel thesaurus, rappresentavano un imprescindibile elemento di distinzione consono alla mentalità aristocratica, che confermava la potestas delle autorità in carica come espressione del casato di provenienza, dei propri legami vassallatici e dell’accumulazione di vasti patrimoni fondiari13. La conferma è suggerita ad esempio proprio da Stefano/Stjepan, bano o forse re di Croazia (1030-1058) che, nel 1042, aveva assicurato a San Grisogono la donazione di una chiesa dotata di beni mobili e immobili dove, tra i ricercati arredi liturgici (icone, croci e turiboli), si distingueva anche un ragguardevole corpus librario costituito: tre messali, un passionario per la lettura delle porzioni agiografiche quotidiane, tre omeliari, due antifonari, due manuali, quattro salteri, due innari, un breviario e un volume definito Smaragdum, con cui in genere si alludeva a uno dei primi commenti della Regula sancti Benedicti di Smaragdo di Saint-Mihiel (760-840)14.

Come sottolineava Eric Palazzo data la loro importanza comunitaria le cerimonie religiose implicavano infatti un apparato conveniente, da contemplare alla luce delle candele e tra i profumi dell’incenso in modo da creare un’ambientazione adatta alla fruizione memoriale della liturgia nella grandiosità architettonica e attraverso l’esperienza della globalità dei cinque sensi15.

Anche tra le esigue sopravvivenze manoscritte di Santa Maria di Zara è comunque possibile evidenziare la compresenza di tipologie librarie e di stili grafici differenti che, dalla fluida eleganza dei libri di lusso, arrivano a documentare le fattezze più disarticolate ed ibride delle aggiunte obituarie sistemate nei dei calendari oppure nei completamenti del Codex Sanctae Mariae Iadrensis Zadar, Arhiv Benediktinskog Samostana sv. Marije, S.N. (da ora Cartulario)16: quest’ultimo repertorio documentario, per lo più in minuscola di transizione del secolo XII-XIII, rappresenta in effetti l’autentico liber iurium del monastero, deputato a illustrare la sua articolazione fondiaria dall’origine al secolo XIII-XIV. Nella sua articolazione interna la sezione più antica (ff. 8r-26v) è stata infatti esemplata da una sola mano esperta in elegante beneventano-dalmatica (Bari-type)17; i completamenti successivi - spesso collocati anche su spazi contigui come continuità delle insistenze topografiche - sono stati aggiunti da notai-preti, quasi sempre incardinati presso la cattedrale di Sant’Anastasia/ Sveta Stošije, che esibiscono come proprio contrassegno un signum di grandi dimensioni, senza che si possa evincere se siano stati o meno a servizio esclusivo dell’ente18.

Nel Cartulario, f. 8r-v resta tuttavia di riferimento il documento di apertura del 1105 che, come si vedrà, giustifica la confezione dell’intero registro, scaturito appunto dalla necessità da parte della badessa Vekenega (ⴕ 1111), figlia della fondatrice Čika (ⴕ 1072), di approfittare del nuovo clima di pace generale per farsi confermare dal nuovo sovrano ungro-croato Colomannus/Koloman (1095-1116) -, e in presenza del vescovo Gregorio/ Grigorije e dei maggiorenti della città -, l’intero patrimonio fondiario abbaziale, da tempo eroso dalle indebite invasioni dei privati: «hoc iussi describere privilegium de possessione terre quam genitrix mea Cicca comparavit Iadertinibus…»; il merito della madre nell’organica costituzione delle proprietà di un contesto agro-pastorale, viene fatto risalire all’acquisto dei terreni iniziali posti «in loco qui dicitur Caprali», barattati per il valore di un pregevole cavallo bianco, prima di enumerare le donazioni di varie personalità e i praecepta di tuitio regia19.

Il documento più antico riportato dal Cartulario (ff. 11r-13r) è appunto la chartula del 1066, in cui è trascritto l’atto di fondazione da parte dell’aristocratica Čika: in armonia con la tradizione patristica, soprattutto di Ambrogio e Agostino, veniva ripreso il fenomeno altomedievale dei monasteri femminili i quali, soprattutto in caso di vedovanza, si trasformavano per le donne in ambiti di autonomia protetta, ma in stretta connessione con il nucleo familiare di provenienza, che nell’ente immobilizzava buona parte del patrimonio assicurandosi, in via prioritaria, l’intercessione della preghiera costante, alimentata dal culto delle reliquie e in correlazione con altri gruppi parentali, tradizionalmente inclini ad incrementare il patrimonio con doni generosi e legati testamentari ( donationes pro anima)20. Nella sua eloquente brevitas il documento sintetizza gli elementi essenziali dell’evento, come sempre ratificato dalla presenza dell’intera comunità cittadina: Čika -, che si proclama figlia di Dujam ( Doimus secondo l’onomastica santorale locale) e di Vekenega (come sarà il nome della propria figlia), e soprattutto nipote del priore Madio, dunque membro del casato dominante, vedova in seguito all’uccisione del marito Andrea, per preservare la propria salvaguardia «qualiter istius caduce vite non perdere hereditatem», aveva ritenuto più opportuno ( mihi salubrius) realizzare personalmente un’istituzione monastica in cui ricoverarsi con la figlia maggiore Domnana e, nel rispetto della gerarchia familiare, aveva notificato il suo fermo proposito al proprio fratello, ovviamente dopo avere ottenuto il consenso dei vertici istituzionali - il vescovo Stefano/ Stjepan I (1065-1073), sempre della medesima stirpe dei Madii, il priore Drago, e la comunità maschile di San Grisogono retta dall’abate Pietro/Petar -, insieme all’assegnazione dell’«ecclesiolam Sancte Marie minoris», accanto a cui sarebbe sorto il monastero21. La figlia minore, la ricordata Vekenega, inizialmente era stata destinata al matrimonio, ma con la morte violenta del consorte nel 1071 aveva raggiunto il cenobio familiare dove forse verso il 1090-1191, o qualche anno prima, avrebbe sostituito la madre nella dignità di badessa22. La progressione degli ampliamenti strutturali e terrieri -, che Čika, si era prefissa di registrare puntualmente - «scribo…que in domibus sive terris vel constructionibus eodem tempore aquisita» ( Cartulario, f. 12r) -, era stata finanziata attingendo in prevalenza alla propria dotazione pecuniaria cioè, come precisa orgogliosamente «de proprio meo matrimonio», aggregando dunque, quasi secondo un processo modulare, piccole porzioni di case attigue a un corpo centrale, includendo anche una piccola cucina ( coquinulam) e un orto davanti alla loro chiesetta di Santa Maria minore, e assommando pure qualche donazione garantita dalle nuove sorores, quasi sempre provenienti dallo stesso gruppo parentale23. Si era inoltre premurata di dotare la comunità di un minimo bagaglio librario per l’assolvimento dei riti sacri quotidiani, di cui resta un breve inventario, lacunoso forse a causa di un guasto nel documento originario, in cui sono elencati due innari e un matutinale (per l’ officium matutinale delle laudes), tutti accuratamente riposti nel tesoro insieme a un grande cero anch’esso destinato alla recita delle lodi, accanto a diverse candele per garantire l’illuminazione della chiesa24. Subito nel Natale del medesimo anno 1066 il monastero aveva ricevuto il riconoscimento regio da parte di Petar Krešimir IV, re di Croazia e Dalmazia che, vantando peraltro legami di parentela con la fondatrice, in presenza dei notabili e ancora del menzionato Pietro abate di San Grisogono, aveva assicurato solennemente al cenobio la propria protezione con la concessione della «regiam libertatem» ( Cartulario, ff. 15v-16v)25. Tra il 1066-1067 lo stesso re, nella formula della «donatio pro anima» in favore della propria persona e della sua stirpe, ne aveva ampliato la compagine cedendo una terra di diritto fiscale ubicata in «Tochenia, que regalis est dinoscitur», seguita nel Cartulario (ff. 9v-10v, 17v-18v, 30v-31v) dalla pubblica conferma nel 1078 del suo successore Dimitar Zvonimir26. Sempre secondo la specificazione patrimoniale del Cartulario (f. 25r-v) nel 1072, durante l’abbaziato di Agapis (che dunque raccolse la successione di Čika), e presumibilmente in concomitanza con la cerimonia di dedicazione della prima chiesa abbaziale, il re Petar Krešimir IV aveva voluto aggiungere un ulteriore appezzamento terriero «in Berda»27. Analogamente anche il vescovo di Zara Andrea/ Andrija III, allo scopo condiviso di garantire alla comunità religiosa una piena autonomia economica al riparo delle interferenze esterne («veram libertatem»), aveva donato al monastero zaratino di Santa Maria l’isola Silva ( Cartulario, f. 14r-v); nello stesso frangente della dedicazione della chiesa («in dedicatione basilice») pure Drago, allora priore in carica, aveva conferito al monastero femminile la totale immunità, comprovata dalla congiunta autorità ecclesiastiche del vescovo Andrea/Andrija III e dell’arcivescovo Lorenzo/Lovro di Spalato, e riconfermata periodicamente nel 1087 e nel 1094 dal re Dimitar Zvonimir ( Cartulario, f. 18r-v)28.

Nei torbidi seguiti alla successione dinastica del Regnum Chroatiae et Dalmatiae Vekenega, nel ruolo di badessa di Santa Maria di Zara, e presumibilmente appoggiata dalla propria schiatta, si era schierata in favore della resa incruenta della città a Koloman (appartenente alla dinastia Arpad) il quale si era distinto per avere negoziato nel 1102 a Belgrado/Beograd la sua autorità regia con le tribù croate (pretendendo il proprio riconoscimento cronico nella documentazione al posto dell’imperatore bizantino)29. Il nuovo sovrano era noto per il suo sgradevole aspetto fisico (piccolo, gobbo, mezzo cieco e segnato da zoppia e balbuzie), che contrastava invece con la sua decisa abilità diplomatica, perfezionata durante una iniziale carriera ecclesiastica come vescovo di Eger e Varad, che l’avrebbe favorito nelle relazioni politiche con il Papato, consolidate con la concessione di transito sul suo territorio ai primi Crociati e attraverso il matrimonio con la riluttante figlia di Ruggero I d’Altavilla, il primo conte normanno di Sicilia (1062-1101) strettamente legato all’orbita pontificia30. Nel 1105 Koloman, sferrando l’assedio a Zara, intendeva rafforzare la propria influenza anche sulle libere città della Dalmazia marittima, approfittando dell’attenuazione del controllo dei Veneziani, allora impegnati militarmente nelle Crociate d’Oltremare; alla risoluzione pacifica del conflitto per Spalato/Split concorse tuttavia l’intervento del vescovo Giovanni/Ivan di Traù/Trogir e, per Zara, la ponderata mediazione di Vekenega31: dal Cartulario (f. 8r-v) emerge come Koloman, non appena entrato trionfalmente in città («quo triumphaliter Iaderam ingressus est»), avesse voluto manifestare la propria concreta gratitudine alla badessa assumendosi le spese per la costruzione dell’imponente torre campanaria di struttura lombarda, come rievoca l’epigrafe commemorativa tracciata da un esperto lapicida in un tipo di capitale arrotondata (rarissime le C squadrate, poche le E onciali), leggermente apicata, distanziata e separata da punti, movimentata da nessi e da lettere inscritte e di modulo minore, in cui il committente rammenta la propria vittoria qualificandosi, come nella successiva documentazione, «rex Ungariae Dalmatiae Chroatiae»: «Anno incarnationis Domini nostri Ihesu Christi millesimo CV post victoriam et pacis praemia Iadere introitus a Deo concessa, proprio sumptu hanc turrim Sanctae Mariae Ungariae Dalmatiae Chroatiae construi et erigi iussit rex Collomannus»32. Un’analoga morfologia grafica ricorre nel trigrafema distribuito sui capitelli a cubo della cappella regia, sistemata al primo piano della stessa torre: «R(ex) CO / LLO / MAN / NUS» e, qualche anno più tardi, nella sala capitolare aggiunta dalla stessa badessa Vekenega nel 1105, fu posto il suo monumento funebre, inciso con maestria in eleganti esametri leonini con la rima interna che, iniziando con «Laude nitens multa iacet hic Vekenega sepulta», costituisce una testimonianza della cultura letteraria croata in cui si colgono echi della poesia classica di Ovidio e di quella cristiana di Prudenzio (348-413 circa)33. La badessa defunta viene pertanto esaltata per la sua modalità di difendere l’ovile dai nemici delle consorelle, sempre guidate con l’azione esemplare piuttosto che con i rimproveri, garantendo al cenobio un’indiscutibile fioritura: «domus crevit et iste locus». Nel Cartulario (f. 11v) un segno tangibile della crescente ricchezza del monastero è fornito dall’inventario dell’oreficeria e dei paramenti sacri, redatto in minuscola di transizione degli inizi del secolo XIII, ma in un latino poco stabile, che inizia con i lemmi «Capsa sancti Cirin, Capsa sancti Grigoro»34: la «Capsa sancti Grigoro» è in effetti identificabile presso la Stalna izložba crkvene umjetnosti di Zara nella splendida cassetta-reliquiario in legno rivestito da lamine in argento sbalzato e ascrivibile alla manifattura locale del secolo XII-XIII, che appare decorato sui lati con scene della vita di Cristo uniformate dal consueto elemento architettonico tardo-antico delle arcate, mentre il lato lungo posteriore accoglie San Gregorio Magno tra i santi zaratini Grisogono/Krševan) e Anastasia/ Stošije, sempre incorniciato dalle arcate); sono invece andate perdute, o forse sostituite, la capsa di san Quirino/ sveti Kvirin, di cui lo stesso museo custodisce un manufatto più recente del secolo XIV, e la coperta de argento, cioè la preziosa legatura libraria di cui restano come configurazione tipologica i due esemplari della fine del secolo XIII35.

Del medesimo livello esecutivo sono pure le sopravvivenze librarie più antiche del monastero che testimoniano il gusto bibliofilo e la munificenza delle fondatrici, per quanto la compattezza grafica e decorativa della matrice beneventano-pugliese ( mise a page a linee lunghe, capilettera a nodi e intrecci arricchiti da elementi vegetali, antropomorfi e protomi zoomorfe, spesso con sfondi o riempimenti dorati) rende difficoltosa l’attribuzione della committenza a Či ka piuttosto che a Vekenega36. Il gruppo comprende gli Officia et preces ad usum benedictinum (definiti anche libri d’ore o breviari) Budapest, Magyar Tudományos Akadémia Könyvtár, K 394 e Oxford, Canonici Lit. 277, quasi gemelli anche per formato e nell’assemblaggio di vari uffici liturgici, collocabili tra i primi esemplari di tale tipologia liturgica, il primo dei quali è forse riconducibile a Či ka per la maggiore semplicità di impostazione37. A essi si aggiunge l’Evangelistario Oxford, Canonici Bibl. lat. 61, con le pericopi per le principali festività dell’anno liturgico, compreso l’ Exultet pasquale con corredo neumatico38.

Nell’Oxford, Canonici Lit. 277, copiato da una mano principale (ff. 1r-v, 19r-v, 4r-104r, 106r-142r, con brevi completamenti coevi e posteriori fino al secolo XIV) la datazione sembra poter essere precisata dall’assenza di preghiere per i dogi o per i regnanti locali (la dinastia dalmata si era estinta nel 1091 e manca la menzione del re Koloman intronizzato nel 1102), ma l’efficace ancoraggio al monastero zaratino di Santa Maria è suggerito dall’attenzione eucologica per san Benedetto (f. 72r-v), per sant’Anastasia, cui era intitolata la cattedrale di Zara, per le preghiere a san Grisogono (f. 69r-v), e infine per la menzione di san Zoilo/sveti Zoilo, di cui a Zara erano conservate le reliquie39. Ancora più significativa è un’aggiunta al f. 150v con delle laudes rimate con oscillazioni consonantiche, introdotte in grafia e con notazione neumatica in beneventana, con cui si presenta l’intera popolazione di Dalmazia pronta a riconoscere i meriti di una badessa di Santa Maria dal nome abilmente cancellato ma, come suggeriva Viktor Novak, riconoscibile in quello di Rozana/Rosana (circa 1170-1183)40: «Laetabunda ac iocunda fatie / Huniversus populus Dalmatie / Quos [Rozana] abbatissa ad honorem / Semper candet splendide / Imperatrix monacharum et salvatrix / Amore inclinamus nostrum capud / Tibi domina earum. Amen». Risulta inoltre significativo come il brano poetico figuri all’interno di una sezione finale in minuscola carolina della seconda metà del secolo XII contenente la Visio Pauli apostoli (ff. 147v-153v), la nota apocalisse paolina conosciuta nel medioevo in almeno dodici differenti visioni41. Nel codice, completato con aggiunte musicali degli inizi del secolo XV (ff. 2r-4v), anche la Salve Regina conclusiva, sistemata sul f. 154v, è trasposta in minuscola di transizione accostabile alla grafia del ricordato inventario dei preziosi arredi abbaziali; sul versante della commistione grafica si rivelano tuttavia ancora più rappresentative le note obituarie del secolo XII aggiunte nel Calendario iniziale (ff. 4r-19v), peraltro scarsamente popolato da presenze santorali. Tali inserzioni - tipizzate dall’onomastica slava ma di difficile identificazione prosopografica - sono spesso redatte in grafie più pesanti o disarticolate, sia in beneventana sia in minuscola ordinaria o nelle forme ibride della contaminazione tra i due tipi grafici, come è in minuscola ordinaria, in parte erasa, la preghiera dell’ Ave Maria (f. 10v, in parte cancellata)42.

Coerente per il sontuoso stile grafico-decorativo della beneventano-dalmatica è pure il coevo e magnifico Evangelistario Oxford, Canonici Bibl. lat. 61, in cui temporale e santorale sono mescolati e che, secondo Viktor Novak, insieme all’Oxford, Canonici Lit. 277 sarebbe stato asportato dal cenobio zaratino di Santa Maria dal gesuita veneziano Matteo Luigi Canonici (1727-1805) - bibliofilo e accanito collezionista d’arte particolarmente abile nel farsi regalare «antichità» dai vari interlocutori -, prima che i suoi eredi nel 1817 vendessero il suo patrimonio librario alla biblioteca universitaria di Oxford43. L’Evangelistario oxoniense, con ampi margini e abbondanza di oro e di giallo brillante nei capilettera a intreccio vegetale, fu forse commissionato in occasione di una nuova consacrazione della chiesa abbaziale (1091), di cui presenta il formulario eucologico al f. 195r, per poi essere ultimato negli anni appena successivi (1095 e 1096); comprende iniziali a piena pagina, come ad esempio al f. 115r nell’ incipit dell’ Exultet (ff. 116v-123r) del preconio pasquale, in cui erano tradizionalmente incluse anche le preghiere specifiche per papi, imperatori oppure autorità spirituali o temporali i cui nomi venivano omessi o celati sotto una sigla44. Qui, come elemento datante e localizzante, si ritrova quindi un chiaro riferimento alla comunità di Santa Maria nella persona della badessa Vekenega, indicata solo con l’iniziale «V.» (ff. 122v-123r), insieme alle preghiere speciali per il pontefice e per il priore cittadino: «Memento etiam necnon et famuli tui prioris nostri...; Respice … ad devotionem famule tue abatisse U. totiusque congregationis Sancte Marie sibi commisse»45. Interessanti sono tuttavia anche le osservazioni sulla notazione musicale sovrapposta ai nomi propri (f. 122r), che suggerisce una possibile corrispondenza sillabica in base al numero delle note, quindi «cum beatissimo papa nostro» (quattro note), «et antistae nostro» (tre note) «famuli tui imperatoris» (sette note), «famuli tui prioris nostri» (quattro note), potrebbe quindi determinare la convergenza cronologica di papa Gregorio VII, del vescovo di Zara Stefano/Stjepan II (1073-1090), della presenza dell’imperatore d’Oriente e il nome della badessa in due sole note per il diminutivo Veka invece di Vekenega, e dunque la possibile anticipazione della confezione del codice al 1081-1086 e dunque, di rimando, anche dell’abbaziato di Vekenega, posto in genere dal 1095 al 111146. Nel manoscritto un ulteriore arricchimento liturgico è fornito dalle cosiddette litterae passionis, adottate per indicare il timbro melodico differenziato per la cantillazione recitativa della pericope del Passio durante la settimana santa, in cui venivano distinte le voci narrative in base all’altezza del tono melodico, in particolare quella di Gesù, in genere segnalata da una croce stilizzata a volte rubricata ( +), mentre le altre lettere riservate al narratore nei codici erano adottate con grande libertà47. Nell’Oxford, Canon. Lit. 277 risultano coeve solo quelle del brano di san Matteo (f. 71r: con e, i e la crux) per la Domenica delle Palme, mentre nelle altre pericopi (ff. 84v, 94r, 119r) le serie alfabetiche c, s e la crux ( +) sono state aggiunte in inchiostro bruno più tardi (secolo XIII?).

Presso l’archivio monastico locale Zadar, Arhiv Benediktinskog Samostana sv. Marije, R-20 («Codex Jadrensis») si conserva inoltre anche un manoscritto composito che trasmette alcune opere di Gregorio Magno: la cui parte iniziale accoglie il diffusissimo testo teologico-morale dei Moralia in Job, copiato a piena pagina in beneventano-dalmatica da un unico copista del secolo XII (da cui sono state asportate le miniature delle numerose piccole iniziali maiuscole), con segni di lettura dei secoli XIII-XIV in grafia textualis apposte da lettori successivi che, probabilmente, compulsarono anche la sezione seguente con paginazione propria, riservata a una gregoriana Regula pastoralis in littera Bononiensis del secolo XII48.

Le poche spie indiziarie avvalorano comunque l’ipotesi che nei secoli XII-XIII Santa Maria di Zara dovesse essere un monastero guidato da donne capaci di garantire all’ente un’oculata amministrazione espansiva, ma contestualmente di livello culturale non comune, a dispetto delle avare attestazioni grafiche femminili offerte dai manoscritti altomedievali49. Colpisce in effetti il tenore della cartula recordationis fatta redigere nel 1170 da Stana, una madre zaratina che, prossima alla morte, aveva deciso di affidare al cenobio (e personalmente alla ricordata badessa Rozana) il giovane figlio Pruoso perché fosse istruito dalle monache fino a diventare sacerdote, o in caso di mancata vocazione, o di scarsa predisposizione allo studio, come factotum della comunità50.

Per la loro condizione incideva sicuramente il benessere generalizzato della città, sempre più nevralgica per i transiti marittimi se nel 1177 (come attesta Cesare Baronio in Annales ecclesiastici, XIX. Cap. XCI) - papa Alessandro III (1159-1181), in viaggio verso Venezia per incontrare l’imperatore Federico Barbarossa con un corteo di undici galee, aveva fatto una sosta a Zara, dove era stato accolto dall’arcivescovo Lampridius nella cattedrale di Sant’Anastasia tra le acclamazioni del clero e del popolo pronunciate nella loro lingua materna «in eorum slavonica lingua»51.

Qualche decennio più tardi, in un contesto di pesante rarefazione notarile, il dinamismo gestionale del cenobio di Santa Maria fu interpretato della badessa Bona che, nel 1228, emulando l’autorità pubblica, arrivò a validare una cartula testificationis apponendo un proprio sigillo: «Et quia civitas Iadertina notarium non habet, hanc testificationis cartulam sigillo meo imprimo et confirmo»52.

Notes

[1] Abbreviazioni

Beneventan Script, I, II: Elias Avery Loew, The Beneventan Script. A History of the South Italian Minuscule. 1914, Second Edition prepared and enlarged by Virginia Brown, I-II, Edizioni di Storia e letteratura, Roma, 19802 (Sussidi eruditi, 33-34)

Oxford, Bodleian Library: Oxford

Jadranka Neralić, La documentazione curiale relativa alla Croazia medievale, paese diviso tra la Serenissima e il regno ungherese, Schriftenreihe Bibliothek des Deutschen Historischen Instituts in Rom, 124 (2012.), p. 509-523: 509 nota 1 (dove si precisa che solo nel 1409 Zara fu venduta per una cifra esigua a Venezia, con cui rimase fino al 1797) mentre a p. 513 viene menzionato il più antico registro Vaticano (Città del Vaticano, Archivio Apostolico Vaticano, Reg. Vat. 1), scritto in beneventana del secolo XI e contenente i documenti relativi alla Dalmazia dal secolo IX.

[2] Erica Morlacchetti, La costa dalmata e i rapporti tra le due sponde dell’Adriatico attraverso le fonti del monastero benedettino delle isole Tremiti (sec. XI), in L’essor de la rhétorique humaniste: réseaux, modèles et vecteurs / The Rise of Humanist Rhetoric: Networks, Models and Vectors , sous la direction de Fulvio Delle Donne - Clémence Revest, [= Mélanges de l’École française de Rome. Moyen Âge, 128 (2016.), 1],https://doi.org/10.4000/mefrm.3021, consultato il 20/02/2021), in cui sono illustrati i rapporti tra Puglia e Dalmazia attraverso il Cartulario del monastero delle Isole Tremiti, cfr. Armando Petrucci, Codice diplomatico del monastero benedettino di S. Maria di Tremiti (1005-1237), I, Istituto Storico Italiano per il Medioevo, Roma, 1960; quindi la traduzione documentaria di Erica Morlacchetti, L’abbazia benedettina delle isole Tremiti e i suoi documenti dall’XI al XIII secolo, Palladino Editore, Campobasso, 2012 (TracciAntica). Il Chartularium Tremitense (attualmente non incluso tra i manoscritti digitalizzati della Biblioteca Apostolica Vaticana) è citato nello studio di Dino Puncuh, Cartulari monastici e conventuali: confronti e osservazioni per un censimento (1999) - in cui Zara non viene menzionata - ristampato in: Id., All’ombra della Lanterna. Cinquant’anni tra archivi e biblioteche: 1956-2006, II, a cura di Antonella Rovere - Marta Calleri - Sandra Machiavello, Nella sede della Società Ligure di Storia Patria, Genova, 2006 [= Atti della Società Ligure di Storia Patria, nuova serie, 46/120 (2006.), 1], p. 689-726: 694 nota 24.

[3] Beneventan Script, I, p. 60-63, con l’indicazione delle altre fondazioni religiose dell’area; Giuseppe Praga, Lo “scriptorium” dell’abbazia benedettina di San Grisogono in Zara, Grafia, Roma, 1930 [= Archivio Storico per la Dalmazia, fascicoli 39-49], p. 4-5; Petrucci, Codice diplomatico, p. 27-30 n. 9.

[4] Nikolić Jakus ZrinkaThe Madii: an Example of the Family of the Dalmatian Urban Elite in the Tenth and Eleventh Centuries, Zbornik Odsjeka za povijesne znanosti Zavoda, 23 (2005.), p. 1-24002 Nikoli..p65 (srce.hr), consultato il 13 novembre 2022; Id., The Use of Narrative Sources in Establishing the Genealogies of Dalmatian Urban Elites before the 14th Century, in Towns and Cities of the Croatian Middle Ages. Image of the Town in the Narrative Sources: Reality and/or Fiction?, ed. by Irena Benyovsky, Irena Benyovsky Latin - Zrinka Pešorda, Hrvatski institut za povijest I Croatian Institute of History, Zagreb, 2017. p. 123-135; 128-131.

[5] Sulla produzione grafica beneventana (sempre coerente nell’uso della punteggiatura e nel tratteggio arrotondato) dei centri maggiori (Cattaro/Kotor, Ragusa/Dubrovnik, Sebenico/ šibenik, Spalato/Split, Traù/Trogir, Zagabria/Zagreb, Zara/Zadar): Viktor Novak , Scriptura Beneventana: s osobitim obzirom na tip dalmatinske beneventane, JAZU, Zagreb, 1920; Beneventan Script, II, p. 27, 30, 33, 37-38, 135-137, 140, 173-177, in cui si ricorda anche il Cartulario- Registrum del monastero di San Pietro/Sveti Petar in Selo Split, Riznica Katedrale, Kaptolski Arhiv BC 622 del secolo XIII (cfr. Beneventan Script, I, p. 339) e i frammenti del Necrologium Ragusanum, datato alla fine del secolo XIII, del bifoglio Chantilly, Musée Condé, Impr. Fol. V, A. 8 + Graz, Universitätsbibl. **1703, f. 137; Virginia Brown, A Second New List of Beneventan Manuscripts, II, Medieval Studies, 50 (1988.), p. 584-625: 602; il messale Berlin, Staatsbibliothek zu  Berlin -Preußischer Kulturbesitz,  Lat. Fol. 920, della prima metà del secolo XII e localizzato a Cattaro/Kotor: Beneventan Script, II, p. 24; Gionata Brusa, «Litterae passionis extra passionem»: Berlin, Staatsbibliothek Preussischer Kulturbesitz, Lat. Fol. 920, Rivista italiana di musicologia, 32 (2011.), p. 251-253. Sugli aspetti decorativi di derivazione pugliese; Marijana Grgić, The eleventh Century Book Illumination in Zadar, Journal of Croatian Studies, 9-10 (1969.), p. 41-132; Rozana Vojvoda, Dalmatian Illuminated Manuscripts Written in Beneventan Script and Benedictine Scriptoria in Zadar, Dubrovnik and Trogir, (PhD Thesis), Central European University, Budapest, 2011, www.etd.ceu,hu/2011/mph-vor01.pdf.

[6] Nella documentazione i cambiamenti più significativi si verificarono nel secolo XIII, quando cominciarono a sorgere alcune scuole notarili anche presso le chiese di Zara, mentre nel corso del secolo XIV, grazie all’apporto della specificità professionale di notai padani o marchigiani aggregati ai podestà, furono gradualmente introdotti l’ instrumentum, i quaderni personali di imbreviature e la prassi dell’ insinuatio in registro per gli atti pubblici: Marino Zabbia, Circolazione di persone e diffusione di modelli in ambito notarile (secoli XIII e XIV), in Cultura cittadina e documentazione. Formazione e circolazione di modelli, Bologna, 12-13 ottobre 2006, a cura di Anna Laura Trombetti Budriesi, CLUEB, Bologna, 2009, p. 23-39: 33-39; Branka Grbavac. Svjedočanstvo o stvarnosti ili fikcija. Zadarski notari između formulara i prakse (Testimonianza su realtà o finzione - I notai di Zara tra formulari e prassi), Acta Histriae, 19 (2011.), 3, p. 393-406, polarizzato sul notariato del secolo XIII; Marino Zabbia, Notai e modelli documentari: note per la storia della lunga fortuna di una soluzione efficace, in Circolazione di uomini e scambi culturali tra città (secoli XII-XIV), Viella, Roma, 2013, p. 23-38: 25-27. Interessante notare come la persistenza veneziana lungo il Trecento avesse influito sulle dinamiche culturali della città investendo pure sulle ibridazioni linguistiche: Nikola Vuletić, Volgare venezianeggiante a Zara nel XIV secolo, in Il veneziano «de là da mar». Contesti, testi, dinamiche del contatto linguistico e culturale, a cura di Daniele Baglioni, De Gruyter, Berlin-Boston 2019 (Beihefte zur Zeitschrift für romanische Philologie, 441), p. 75-102[PDF] Volgare venezianeggiante a Zara nel XIV secolo (researchgate.net) consultato il 12/11/2022.

[7] Nadia Togni, Manoscritti atlantici nel Regno di Croazia e Dalmazia: la Bibbia di Sebenico, in  Šibenik od prvog spomena: Zbornik radova sa međunarodnog znanstvenog skupa 950 godina od prvog spomena Šibenika, ed. by Iva Kurelac - Gojko Lambaša - Ivica Poljičak, Muzej Grada Šibenika, Šibenik-Zagreb, 2018, p. 63-100: 72; Jadranka Neralić, Biskup Ivan Trogirski (1064.-1111.) osnivač benediktinskoga samostana sv. Nikole, in Benediktinski samostan sv. Nikole u Trogiru. Duhovnost i kultura u okrilju Virgines Dei. Zbornik radova prigodom 950 obljetnice utemeljenja. Priredili, Vanja Kovačić - Jozo Milanović (ur.), Benediktinski samostan sv. Nikole u Trogiru, Trogir 2014, p. 87-102.

[8] Codex diplomaticus regni Croatiae, Dalmatiae et Slavoniae / Diplomati čki zbornik kraljevine Hrvatske s Dalmacijom i Slavonijom , II, izdaje Ivan Kukuljevi¢- Sakcinski, Tiskom Dragutina Albrec hta, U Zagrebu 1874 (Monumenta historica Slavorum meridionalium, 2), p. 134-135 n. 156. Sull’iniziativa editoriale di questo primo Codex diplomaticus: Neralić, La documentazione curiale, p. 511-513.

[9] Si possono elencare il passionario della Biblioteca del capitolo metropolitano di Zagabria/Zagreb, ora MR 164 in cui fu saldato il frammento in beneventana con il commento geronimiano al salmo 119 e la Vita Marie Egipticae (ff. 258r-266v) scritti dal diacono Maione per l’arcivescovo Paolo di Spalato (1015-1030): Nadia Togni,  Un passionario atlantico umbro-romano a Zagabria, in  Hagiologica. Studi per Réginald Grégoire, Monastero di San Silvestro Abate, Fabriano, 2012 (Bibliotheca Montisfani, 31), p. 35-59; Lucija Krešić, Metropolitanski Passional MR 164 and basilica Sant’Apollinare Nuovo in Ravenna: content analysis and Heizer’s method of saints’ name selection, Croatica Christiana Periodica, 39 (2015.), 76, p. 11-25; quindi una nuova copia coeva di Bibbia gigante Šibenik, Samostan sv. Frane, MS 23, vicina alla Bibbia Dubrovnik, Dominikanski Samostan, Cod. 58, I-II: Nadia Togni, Manoscritti atlantici nel Regno di Croazia.

[10] Praga, Lo “scriptorium”, p. 11-12; Neralić, La documentazione curiale, p. 513. Nel «monasterium, cui Vrana est vocabulum» destinato alla Sede Apostolica il tesoro comprendeva due croci, un calice con patena, due corone con pietre preziose, un cofanetto in argento contenente le reliquie di Gregorio Magno, un evangeliario in lettere d’argento e, come era consuetudine, tutti i beni, mobili e immobili insieme a servi e animali: Codex diplomaticus regni Croatiae, p. 152 n. 186. Per il periodo storico-politico: Franjo Šanjek, La réforme grégorienne en Croatie sous le règne de Demetrius Zvonimir (1075-1089), Studi Gregoriani, 14 (1991.), p. 245-251; Stéphane Gioanni, La lettre du roi Zvonimir au légat apostolique Gebizon (1075): un miroir littéraire de la réforme 'grégorienne' en Méditerranée?, in La Lettre-Miroir dans l’Occident latin et vernaculaire du Ve au XVe siècle , sous la dir. de Dominique Demartini - Sumi Shimahara - Christiane Veyrard-Cosme, Études Augustiniennes, Paris, 2016 (Collection des études augustiniennes, Série Moyen Âge et Temps modernes, 55), p. 201-218; Id., Venise et les missions pontificales vers le ducatus et le regnum de Dalmatie-Croatie (IXe-XIe siècle), in The Age of Affirmation: Venice, the Adriatic and the Hinterland between the 9th and 10th Centuries = I tempi del consolidamento: Venezia, l’Adriatico e l’entroterra tra IX e X secolo, a cura di Stefano Gasparri – Sauro Gelichi, Brepols, Turnhout, 2017, p. 39-58; inoltre in particolare il cap. IV , Les «donations» envers les établissements ecclésiastiques: soutiens et contestations des élites du royaume de Dalmatie-Croatie, in Id., Gouverner le monde par l'écrit. L'autorité pontificale en Dalmatie, de l'Antiquité tardive à la réforme "grégorienne", École française de Rome, Rome, 2020 (Bibliothèque des Écoles françaises d'Athènes et de Rome, 386), p. 135-150,https://books.openedition.org/efr/32052 consultato il 12/11/2022.

[11] Codex diplomaticus regni Croatiae, Dalmatiae et Slavoniae (Diplomata annorum 743-1100 continens)/Diplomatički zbornik kraljevine Hrvatske, Dalmacije i Slavonije 1 (listine godina 743-1100), eds. Marko Kostrenčić - Jakov Stipišić - Miljen Šamšalović, Jugoslavenska akademija znanosti i umjetnosti, Zagreb, 1967, p. 46 n. 31, in cui il vescovo Anastasio è il primo dei sottoscrittori, seguito dal vescovo di Arbe e da alcuni membri del capitolo zaratino; Stéphane Gioanni, Les «retraites insulaires» en Dalmatie du VIe au XIe siècle. Idéal ascétique, monastères et diplomatie pontificale,  Hortus Artium Medievalium, 19  (2013.), p. 209-222: 213. Sullo scriptorium di San Grisogono, di cui resta un inventario librario lacunoso del secolo XV con 53 lemmi, di cui sedici ancora in «littera beneventina»: Praga, Lo “scriptorium”; per l’inventario: Grgić, The eleventh Century Book, p. 42.

[12] Viktor Novak, La paleografia latina e i rapporti dell’Italia meridionale con la Dalmazia,  Archivio Storico Pugliese, 14 (1961.), p. 145-158: 148-149; Herbert Bloch, Monte Cassino in the Middle Ages, I, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 1986, p. 40-136. Sui modelli cassinesi dall’epoca teobaldiana agli inizi del secolo XI: Giulia Orofino, I codici decorati dell’Archivio di Montecassino, con la collaborazione di Lidia Buono e Roberta Casavecchia, II/1-2, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 1996, 2000, in particolare II/2, p. 7-17; Ead., L' abate Desiderio committente di libri: manoscritti miniati a Montecassino, in Il libro miniato e il suo committente. Per la ricostruzione delle biblioteche ecclesiastiche del Medioevo italiano (secoli XI-XIV), a cura di Serena d’Urso - Alessandra Perriccioli Saggese - Giuseppa Z. Zanichelli, Il Poligrafo, Roma, 2016, p. 25-44 .

[13] Si vedano i vari contributi del volume: Tesori. Forme di accumulazione della ricchezza nell’alto medioevo (secoli V-XI), a cura di S. Gelichi - C. La Rocca, Roma, 2004 (Altomedioevo, 3).

[14] Praga, Lo “scriptorium”, p. 27; Gioanni, Gouverner le monde par l'écrit, p. 135-136.

[15] Sulla fruizione liturgica con i cinque sensi si esprime: Éric Palazzo, Art, liturgy and the five senses in the Early Middle Ages , Viator, 41 (2010.), 1, p. 25-56; Id., Les cinq sens dans la liturgie monastique du Haut Moyen Age , in Consuetudines et Regulae. Sources for monastic life in the Middle Ages and the Early Modern Period, ed. by Carolyn Marino Malone - Clack Maines , Brepols, Turnhout, 2014, p. 271-290.

[16] L’edizione facsimilare commentata è: Chartulare Jadertinum monasterii Sanctae Mariae, Zadarski kartular samostana Svete Marije. Uredio i popratio uvodnim historijskim, paleografskim, diplomatičkim, kronološkim, topografskim i muzičkim napomenama Viktor Novak (Chartulare Jadertinum monasterii Sanctae Mariae, Jugoslavenska akademija znanosti i umjetnosti, Zagreb, 1959, da ora Chartulare Jadertinum.

[17] Per il Cartulario: Beneventan Script, I, p. 65 e II, p. 173, cfr. Viktor Novak, Latinska paleografija, Naučna Knjiga, Beograd, 1952, fig. 37 (p. 156) e p. 313-314; Id., Something New from the Dalmatian Beneventana, Medievalia et Humanistica, 14 (1962.), p. 76-85: 83, 85 pl. 3 (f. 26r); Jakov Stipišić, Croatia in Diplomatic Sources up to the end of the 11th Century, in Croatia and Europe, I. Croatia in the Early Middle Ages, a Cultural Survey, ed. by Ivan Supičić, Philip Wilson Publishers, London, 1999, p. 285-318: 291, 306, 310. Inoltre sono rari i libri iurium (in cui si registravano proprietà fondiarie e diritti acquisiti dall’ente) soprattutto così antichi e riferiti a monasteri femminili, e documentano il grado di razionalizzazione e di consapevolezza amministrativa: Annalisa Albuzzi, Il monachesimo femminile nell’Italia medioevale. Spunti di riflessione e prospettive di ricerca in margine alla produzione storiografica degli ultimi trent’anni, in Dove va la storiografia monastica in Europa? Temi e metodi di ricerca per lo studio della vita monastica e regolare in età medievale alle soglie del terzo millennio, Atti del Convegno internazionale, Brescia-Rodengo 23-25 marzo 2000, a cura di Giancarlo Andenna, Vita e Pensiero, Milano, 2001, p. 131-189: 159-160, dove Zara non è menzionata.

[18] Ad esempio «Matheus Sancte Anastasie subdiaconus» nel 1174 al tempo della badessa Rozana ( Cartulario, f. 10r) e nel 1183 per il testamento di Prodano de Gudezo in favore del monastero (ff. 35r-36r), «Iohannes Sancte Anastasie subdiaconus atque notarius», che nel 1167 presenziava un placito per la riacquisizione di terre «in Bravizo», a suo tempo procurate dalla badessa Vekenega (f. 26v), quindi nel 1170 per la cartula recordationis dove Stara morente dava in oblazione al monastero il figlio Pruoso (f. 34r); «Petrus diaconus atque Sancte Anastasie canonicus», attivo in due documenti del 1210 riportati ai ff. 2r-3v e quindi nel 1236 per la badessa Bunna/Bona (f. 6v), che concedeva a dei privati la facoltà di piantare una vigna.

[19] Chartulare Jadertinum, p. 241-243 n. 1.

[20] Régine Le Jan, Femmes, pouvoir et societé dans le haut Moyen Âge, Picard, Paris, 2001, p. 89-107. Sul tema della vedovanza e delle fondazioni femminili altomedievali: Emmanuelle Santinelli, Des femmes éplorées? Les veuves dans la société aristocratique du haut Moyen Âge, Presses Universitaires du Septentrion, Villeneuve d'Ascq, 2003; Tiziana Lazzari, Patrimoni femminili, monasteri e chiese: una proposta (Italia centro settentrionale, secoli VIII-X), e Paola Guglielmotti, Patrimoni femminili, monasteri e chiese: esempi per una casistica (Italia centro settentrionale, secoli VIII-X), in Dare credito alle donne. Presenze femminili nell’economia tra medioevo ed età moderna, a cura di Giovanna Petti Balbi - Paola Guglielmotti, Centro studi Renato Bordone sui Lombardi, sul credito e sulla banca, Asti 2012 (Atti di convegno, 6), p. 25-36; 37-50.

[21] Per la provenienza di Stefano episcopus di Zara alla famiglia Madii: Praga, Lo “scriptorium , p. 11.

[22] Codex diplomaticus regni Croatiae, p. 125 n. 144; Chartulare Jadertinum, p. 241-243 n. 1. Nel 1092 Vekenega non aveva esitato a rivendicare al suocero la parte ereditaria di sua spettanza, facendo intervenire l’arcivescovo Lorenzo di Spalato: Cartulario, ff. 20v-24v; Chartulare Jadertinum, p. 248-249, 251-254 nn. 10, 13-14.

[23] In Cartulario, f. 1r-v la mano principale in beneventana riporta anche i «termini terrarum» che il monastero aveva in Petrizzano, ottenuti con gli acquisti effettuati da Či ka tra il 1070 e il 1072: Chartulare Jadertinum, p. 247 n. 7.

[24] Chartulare Jadertinum, p. 241-242 n. 2.

[25] Chartulare Jadertinum, p. 243-244. La «regiam libertatem» era stata riconfermata nel 1102 anche del re Koloman: Cartulario, ff. 18v-19v, p. 256.

[26] Chartulare Jadertinum, p. 243-244 n. 2. Či ka, negli stessi anni di regno di Petar Krešimir IV, usando denaro o scambio di animali, aveva acquistato beni in località Petrizzano ( Cartulario, f. 9v), dettagliatamente elencati in Cartulario, f. 1r-v «Hii sunt termini terrarum …in loco Petrizani».

[27] Chartulare Jadertinum, p. 245-246 n. 5. Su tale proprietà nel 1199 fu aperto un contenzioso giuridico per una sua riappropriazione da parte della badessa Tolla ( Cartulario, f. 29v); tra le donazioni di privati al monastero nel 1072 risulta quella di Pietro, relativa alla chiesa dei Santi Pietro e Paolo/ Sv. Petra i Pavla, collocata «in Bravizo», riportata in un atto rogato da prete Martino e comprovata da Dabrane vescovo di Zara e dal priore Drago ( Cartulario, f. 26r-v); nel 1073 fu la volta di Vekenego, che cedette ogni sua proprietà (vigne, terre coltivate e incolte e tutti gli armenti): Cartulario, ff. 19v-20v; Chartulare Jadertinum, p. 245-246 nn. 4 e 6.

[28] Chartulare Jadertinum, p. 244, 249 n. 3, 9.

[29] Branka Magaš, Croatia Through History: The Making of a European State, Saqi Books, London, 2007, p. 51-52.

[30] Sulla sua figura: Márta Font, Koloman the Learned, King of Hungary, Supervised by Gyula Kristó, Translated by Monika Miklán), Szegedi Középkorász Műhely, Szeged 2001.

[31] Neralić, La documentazione curiale, p. 514.

[32] Giovanni Kreglianovich-Albinoni, Memorie per la storia della Dalmazia , II, Per Anton-Luigi Battara, Zara, 1809, p. 5-14, e la menzione del Cartulario e dell’epigrafe del campanile alle p. 13-14; Nikola Jakšić, Materijalni odrazi Kolomanove vojne u Sjevernoj Dalmaciji, Povij. pril., 117 (1998.), p. 269-286: 269, con il testo dell’epigrafe a p. 272.

[33] Željko Trkanjec, Pavao Knezović, Documenta historiam Croaticam spectantia (repraesentativa), Školska knjiga, Zagreb, 1995, p. 30-31; citato in Johanna Luggin, Macrohistory or Microhistory? The Tyrolean Menippean Satire as a Regional Literary Genre, in Neo-Latin contexts in Croatia and Tyrol: challenges, prospects, case studies, ed. by Neven Jovanović et al., Böhlau Verlag, Wien-Köln-Weimar , 2018, p. 107-122: 122; Laude nitens multa: zbornik radova s kolokvija u povodu 900. obljetnice Vekenegina epitafa / Proceedings of Colloquium on the occasion of the 900th anniversary of Vekenega's epitaph, (ur.) Pavuša Vežić, Ivan Josipović, Sveučilište u Zadru, Zada, 2018.

[34] Chartulare Jadertinum, p. 271-272 n. 35.

[35] Ivo Petricioli, Stalna izložba crkvene umjetnosti u Zadru [ Esposizione permanente dell'arte sacra a Zara], s.e., Zadar, 1980, p. 47, 58-59, 65 nn. 5, 22-23, 32, come nel lemma «quatuor cruces parvulos (sic)» si potrebbero includere almeno le due piccole croci reliquiario di provenienza orientale del secolo VII-VIII in cuoio dorato (p. 45 n. 1).

[36] Grgić, The eleventh Century Book Illumination; Simona Gavinelli, Scrivere e leggere nel chiostro:  lo scriba - monachus, in Living and dyining in the cloister. Monastic life from the 5th to the 11th Century [= Hortus Artium medievalium, 23 (2017.), 1, p. 414-427: 426 . Si diffonde sulla simbologia grafica delle lettere in chiave evocativa e liturgica: Patrizia Carmassi, Übergänge-Ornamente und Diagramme zwischen Text, Buchstabe und Bild in Handschriften des Frühmittelalters, Das Mittelalter, 22 (2017.), 2, p. 408-430,https://doi.org/10.1515/mial-2017-0024, consultato il 19/02/2021

[37] Per la tipologia dei libri d’ore, con le orationes distinte in genere in quattro macrostrutture (l’ufficio della Croce, della Passione, dello Spirito Santo e dei defunti): Giacomo Baroffio, Testo e musica nei libri d'ore, Rivista italiana di musicologia, 46 (2011.), p. 19-77.

[38] Sui tre manoscritti: Marijana Grgić, Liber horarum Cichae, abbatissae Monasterii Sanctae Mariae monialium de Iadra: Oxford, Bodleian Library: MS. Canonici Liturgical 277, Hrvatski Državni Arhiv, Zagreb, 2002; Emanuela Elba, La decorazione dei codici in beneventana della Dalmazia tra XI e XIII secolo, Segno e testo, 4 (2006.), p. 107-147; Ead., Lungo le rotte adriatiche: il libro d’ore in beneventana di Budapest e la miniatura pugliese dell’XI secolo, Rivista di storia della miniatura, 12 (2008.), p. 45-55; La Fortuna dei Primitivi. Tesori d’arte dalle collezioni italiane fra Sette e Ottocento, a cura di Angelo Tartuferi, Gianluca Tormen, Giunti, Firenze, 2014, p. 471-472 n. 90.

[39] Otto Pächt - Jonathan James Graham Alexander, Illuminated Manuscripts in the Bodleian Library, I-III, Oxford University Press, Oxford, 1966-1973: II, n. 19; Andrew  G. Watson, Catalogue of Dated and Datable Manuscripts c. 435-1600 in Oxford Libraries, I-II, Clarendon Press, Oxford, 1984, I, p. 27 n. 27 e 43 n. 267; Giacomo Baroffio, Kalendaria Italica. Inventario, Aevum, 77 (2003.), p. 449-472: 462; Grgić, Liber horarum Cichae.

[40] Rosana era sorella di Lampredius, primo arcivescovo di Zara (1141-1179): Zrinka, The Use of Narrative Sources, p. 129-130.

[41] Jiroušková Lenka, Die Visio Pauli: Wege und Wandlungen einer orientalischen Apokryphe im lateinischen Mittelalter unter Einschluss der alttschechischen und deutschsprachigen, Brill, Leiden, 2006 (Textzeugen, mittellateinische Studien und Texte, 34). Le reliquie di santa Anastasia erano conservate in un prezioso sarcofago-reliquiario commissionato agli inizi del secolo IX dal vescovo zaratino Donato/Donat, come indica la doppia iscrizione in irregolare capitale apicata sullo spiovente del coperchio e su due lati, e ancora conservato in loco: Bizantini, Croati, Carolingi. Alba e tramonto di regni e imperi, a cura di Carlo Bertelli et al. Skira, Milano, 2001, p. 381-382 n. V.10 ( Zadar/Zara, cattedrale: scheda di Nikola Jakšić). A quanto mi risulta le ulteriori presenze di minuscola ordinaria in Dalmazia per i secoli XI-XII derivano da codici importati, come presso il convento francescano di Sebenico il Liber sequentiarum con 22 su 37 sequenze di Notkero Balbulo (840-912), seguito da un sacramentario šibenik/Sebenico, Samostan Sv. Franje, 1, copiato a Tegernsee nel secolo XI per poi essere probabilmente destinato alla chiesa di San Tommaso/Sveti Toma, oppure alla scomparsa Santo Stefano/Sveti Stjepan di Pola (Istria), diventando quindi una nuova fonte per il rito di Aquileia: Hana Breko, The So-Called "Liber sequentiarum et sacramentarium" (Šibenik, Monastery of Franciscans the Conventuals), 11th Century The Oldest Medieval Missal of Pula, Studia Musicologica Academiae Scientiarum Hungaricae, 45 (2004.), 1-2, p. 35-52; il messale Split, Nadbiskupski Arhiv, Kapitolski Arhiv, 624 D, in minuscola ordinaria del secolo XII copiato in Italia centrale (forse a Perugia) e il frammento di Sacramentario sui ff. 217 e 220, in beneventana degli inizi del secolo IX, con rare attestazioni eucologiche (Sacramentarium Spalatense): Beneventan Script, II, p. 137; Bonifacio Baroffio - šime Marović, Il sacramentario-rituale di Spalato e la tradizione eucologica latina, Ecclesia orans, 4 (1987.), p. 235-241; Domagoj Volarević, Osobitosti i porijeklo Splitskog Sakramentara, Crkva u svijetu, 54 (2019.), 4, p. 492-524; Institut de recherche et d'histoire des textes (IRHT-CNRS), Notice de Split, Kaptolski Arhiv, 624 D, in Giacomo Baroffio - Laura Albiero,  Iter liturgicum italicum, 2016http://liturgicum.irht.cnrs.fr/manuscrit/622521 e //liturgicum.irht.cnrs.fr/manuscrit/622520)), consultati il 13/11/2022.

[42] Sono in beneventana: «obitus Batista» (f. 6r), «obitus Adilgerga» (f. 8r), «obitus Petraca» (f. 10r), «obitus Feraci» (f. 11v), «obitus Dausita monialis» (f. 14v), «obitus Giborga» (f. 17v); in carolina: «Pinzardo, Ugo» (f. 6r), «Bonafilia» (f. 7v), «obitus Botizano» (f. 8r), «Rainaldo» (f. 9r), «obitus Dabraza» (f. 11v), «obitus Misarella» e «obitus Altasie uxoris Petri Debarte» (f. 11v), «obitus Domazza» (f. 14r), «obitus Diminica», «obitus Iuvando» (f. 16v), «obitus Ouria» e «obitus Inguiza» (f. 17v); in scrittura mista «obitus Alferi» (f. 13r), «obitus Stefanus» (f. 15r), «obitus Faidus cum filio suo» ripetuto «obitus Faido et filio» (f. 16v). Sulla rete relazionale attraverso le preghiere di suffragio segnalate nei calendari e negli obituari medievali: Arnold Angenendt,  Theologie und Liturgie der mittelalterlichen Totenmemoria, in Memoria. Der geschichtliche Zeugniswert des liturgischen Gedenkens im Mittelalter, hrsg. von Karl Schmid - Joachim Wollasch, W. Fink Verlag, München 1984, p. 80-199; Karl Schmid, Bemerkungen zur mittelalterlichen Memorialüberlieferung im Blick auf Italien, in Società, istituzioni, spiritualità. Studi in onore di Cinzio Violante, Fondazione CISAM, Spoleto, 1994, p. 767-785.

[43] Novak, Something New, p. 77, 83.

[44] Gerhart Burian Ladner, Images and Ideas in the Middle Ages. Selected Studies in History and Art, I, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 1983 (Storia e Letteratura, 155), p. 310.

[45] Sui ff. 1r-2r, 3v, 156v-158v e 196r ci sono aggiunte più tarde in grafia textualis. Sul codice: Pächt - Alexander, Illuminated Man:scripts, II, n. 18; Forrest Kelly, The Exultet in Southern Italy, Oxford  University Press, New York-Oxford 1996, p. 257, 273. L’Evangeliario contiene elementi di liturgia e di notazione neumatica proto-beneventana, con specifiche caratteristiche eucologiche accostabili alla liturgia romana: René Jean Hesbert, Les dimanches du Carême dans les manuscrits romano-bénéventains, Ephemerides liturgicae, 48 (1934.), p. 198-222; Klaus Gamber, Codices Liturgici Latini Antiquiores, I/2, Universitätsverlag, Freiburg (Schweiz), 19682 (Spicilegii Friburgensis Subsidia, 1/2), p. 465-466 n. 1170; le stesse caratteristiche liturgiche si rintracciano in effetti nel celebre Evangelistario di Zara, Berlin , Staatsbibliothek zu  Berlin -Preußischer Kulturbesitz, T heol. Lat. Quart.  278 , copiato a Zara alla fine del secolo XI, e con la nota di possesso relativa alla chiesa di San Simeone/ Sveti Šime al f. 1r «Liber ecclesie Sancti Symeonis», e riferimenti alla città scritti in beneventana sui ff. 1v, 191r-v: Beneventan Script, I, p. 63; René Jean Hesbert, L’évangéliaire de Zara, Scriptorium, 8 (1954.), p. 177-204 tavv. 20-21; Gamber, Codices Liturgici, p. 466 n. 1175.

[46] Watson, Catalogue of Dated, p. 27 n. 149, con richiamo a Henry Marriott Bannister, The " Vetus Itala " Text of the " Exultet" , Journal of Theological Studies, 11 (1909.), 1, p. 43-54: 48, 51.

[47] Nella settimana santa il martedì si leggeva la passio dell’evangelista Marco, il mercoledì quella di Luca, il venerdì quella di Giovanni: Giacomo Baroffio, Le litterae passionis nei codici liturgici italiani, Aevum, 73 (1999.), p. 295-304, in cui ovviamente il codice non è censito.

[48] Beneventan Script, I, p. 65; II, p. 173; Novak, Something New; Anđelko Badurina, Illuminated Manuscripts, in Croatia and Europe, I, p. 545-558: 557.

[49] Luisa Miglio, Governare l’alfabeto. Donne, scrittura e libri nel Medioevo, Viella, Roma, 2008 (Scritture e libri nel medioevo, 6), p. 173-180; Simona Gavinelli, Copiste: appunti biografici, in «Questa penna, questa man, questo inchiostro». Centri di scrittura e scritture femminili nel Medioevo e nella prima Età moderna, [= Mélanges de l’École française de Rome. Moyen Âge, 131 (2019.), 2], p. 297-310,https://doi.org/10.4000/mefrm.6209, consultato il 25/02/2021.

[50] Cartulario, f. 34v.

[51] Neralić, La documentazione curiale, p. 516-517.

[52] Zabbia, Circolazione di persone, p. 36 nota 54. Per completezza aggiungo l’indicazione cursoria di altri recuperi manoscritti più tardi che andranno considerati in un’altra occasione, come il Rituale di Santa Maria di Zara, Oxford, Bodleian Library, Canonici Misc. 336, del secolo XV, oppure la presenza di interessanti frammenti musicali o del Messale domenicano Zadar, Arhiv Benediktinskog Samostana sv. Marije, [3], copiato forse a Zara nel 1320 (ff. 259), o quello duecentesco di incerta provenienza (ridotto a ff. 4) segnalato come Antifonario, Zadar, Arhiv Benediktinskog Samostana sv. Marije, [2]: Giacomo Baroffio - Laura Albiero, Iter liturgicum italicum, 2016 (https://liturgicum.irht.cnrs.fr/manuscrit/626334; https://liturgicum.irht.cnrs.fr/manuscrit/626335) consultati il 15/09/2020.


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