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Original scientific paper

Il lampasso gotico nei reliquiari per le teste di Sant’Anselmo e Santa Marcella a Nona

Silvija Banić ; independent researcher, Zadar, Croatia


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page 85-102

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Abstract

Il testo di questo articolo presenta per la prima volta esclusivamente e dettagliatamente il lampasso con cui sono completamente rivestiti gli interni di due reliquiari a cassetta, custoditi nella tesoreria dell’ex cattedrale, oggi chiesa parrocchiale di Sant’Anselmo a Nona, cittadina nelle vicinanze di Zara. Nei lavori finora pubblicati su questo argomento, il tessuto veniva solo menzionato e brevemente descritto. Il primo a descriverlo e a datarlo ampiamente, ma correttamente fu l’accademico Ivo Petricioli nel 1969: „L’interno di queste due cassette è rivestito da un tessuto pregiato, un damasco di seta bicolore: verde chiaro e giallo oro. Sono stati lavorati motivi di uccelli simmetricamente confrontati e tra di loro un motivo vegetale simmetrico, che trae origine dall’ ‘albero della vita’ orientale. Il tessuto è ben conservato. La comparazione ci porta ai lavori italiani del XIV secolo.” La sua osservazione fu proposta negli anni successivi da alcuni altri autori che scrissero sui reliquiari mentre la pubblicazione di uno studio più dettagliato, con persino fotografie della seta, non è stata fino ad oggi presa in considerazione da un punto di vista scientifico. In questo lavoro il tessuto in oggetto viene correttamente identificato come lampasso e non come damasco, inoltre si riportano i risultati dell’analisi tecnica con la quale è stata confermata la tessitura di due orditi, ambedue di seta e di colore verde (la sfumatura dell’ordito di legatura è leggermente più scura), e di due trame di seta. La trama di fondo è verde mentre la trama lanciata che forma il disegno è di colore giallo chiaro, ed è vistosamente più grossa siccome contiene un maggior numero di fili. Il fondo è stato tessuto in taffetà luisina 2-1 mentre la trama lanciata è fissata con i fili dell’ordito di legatura in semplice taffetà. L’ordito di fondo e l’ordito di legatura sono tessuti in proporzione 2:1 (il principale conta 32 e quello di legatura 15 passate per centimetro) mentre il rapporto tra la trama di fondo e quella lanciata è 1:1 (ambedue contano 19 passate per centimetro). Dunque, come lo dimostra la fotografia fatta al microscopio digitale, si tratta di un lampasso tessuto con la combinazione luisina 2-1 e taffetà semplice. Secondo i risultati esposti, il lampasso si collega tipologicamente al termine storico camucha di du fila in dente, sulle tracce delle ricerche di Donald e Monique King del 1988, i quali nell’articolo dal titolo Silk Weaves of Lucca in 1376, presentarono la tesi che il suddetto termine si riferisce proprio al lampasso luisina-taffetà (o taffetà-taffetà) che veniva tessuto nelle manifatture lucchesi dall’inizo del XIV secolo. Si descrivono esplicitamente come tipi di tessuto dove i fili dell’ordito di fondo sono raddoppiati riguardo al filo singolo dell’ordito di legatura (si menziona pure la densità prescritta dei fili intessuti al centimetro di lunghezza: 36 per il principale e 18 per quello di legatura) mentre il disegno va tessuto con la trama lanciata di seta. Come luogo di nascita del lampasso di Nona viene proposta Lucca, anche per il motivo presente, parallelamente riscontrabile in diversi esemplari conservati nei musei europei. Come periodo di nascita, si propone il secondo quarto del XIV secolo. Nello stesso tempo, a causa delle note condizioni legate alle migrazioni dei maestri delle corporazioni tessili da Lucca a Venezia, durante la prima metà del XIV secolo, si avverte la possibilità che il lampasso fosse stato tessuto nelle manifatture dei maestri lucchesi situati a Venezia. L’esame del lampasso ha dimostrato che lo stato di conservazione è buono. Si notano danneggiamenti sui rivestimenti del coperchio causati dai chiodi d’argento della parte anteriore della cassetta, i quali tengono chiusi i coperchi abbassati, mentre minori deterioramenti e alterazioni di colore sono visibili sui frammenti all’interno del reliquiario di Santa Marcella. Come rivestimento dei reliquiari sono stati usati complessivamente venti frammenti, dieci per ciascun reliquiario (cinque per il rivestimento della cassetta e cinque per il coperchio). La cimosa non è stata trovata in nessuno dei frammenti, neanche in tracce. Le maggiori informazioni sul disegno del lampasso ci vengono fornite dai frammenti sul fondo (le loro dimensioni sono circa di 22 x 17 centimetri) e sulle pareti laterali maggiori, lunghe 22 e larghe circa 10 centimetri. Il disegno viene costruito alternando due composizioni ornamentali. Ognuna di esse è composta da una coppia di uccelli posizionati frontalmente, sistemati sopra una palmetta ovale, differenziati per la specie di uccello (pappagalli e pavoni ?) e per la forma della palmetta. Ogni composizione si moltiplica
orizzontalmente nella propria linea particolare, in modo che l’alternarsi dei due motivi principali è organizzato a scacchiera. Questa disposizione si intravvede nei frammenti sul fondo delle cassette mentre si riconosce più chiaramente sulle pareti laterali maggiori delle stesse. Frammenti uguali ci danno la possibilità di valutare la dimensione del rapporto: la larghezza è di circa 10 cm mentre l’altezza arriva a 20 cm. Esaminando i reliquiari – cassette si è constatato che l’interno è stato rivestito di lampasso durante il processo della loro lavorazione. Il tessuto è stato tagliato in pezzi che precisamente corrispondono alle dimensioni delle assi di legno che formano lo scheletro del reliquiario. Se prestiamo attenzione ai bordi delle cassette e ai bordi dei coperchi, osserviamo che il tessuto passa sotto il rivestimento argenteo del reliquiario. È chiaro pertanto che l’interno è stato rivestito con il lampasso prima che l’orefice avesse fissato con dei chiodini alla costruzione lignea i rivestimenti in rilievo. Inoltre, per gli spigoli all’interno delle cassette e dei coperchi, ovvero per le parti in cui si collegano o sovrappongono frammenti di lampasso, l’orefice ha fabbricato una sottile lamina d’argento semplice ma decorata bene. Sebbene purtroppo fino ad oggi non si siano conservate tutte le lamine, è evidente che esse originariamente ricoprivano ogni brutta cucitura o bordo di lampasso tagliato male. Il maestro che rifiniva l’interno dei reliquiari si è ingegnato a raggiungere quasi lo stesso aspetto in ambedue gli oggetti, e questo comporta il destinare pezzi quasi identici di seta alle stesse superfici. Così, per la copertura dei fondi delle cassette, cosa che richiedeva superfici più grandi di tessuto, venivano di proposito, in ambedue i casi, usati frammenti con l’identico segmento di rapporto. Siccome anche l’aspetto esterno dei reliquiari di uguali dimensioni sono talmente somiglianti che si distinguono difficilmente a prima vista, la stessa impressione si ripete, ovviamente di proposito, anche nei loro interni. Questo rappresenta un altro contributo all’ipotesi che i reliquiari venissero rivestiti di lampasso durante la loro lavorazione perché il maestro doveva disporre di abbondante materiale per poter realizzare la „lussuosa“ scelta di precisi e determinati segmenti. Poiché i reliquiari sono ben noti alla bibliografia nostrana, l’autrice non si sofferma sulle loro sembianze e sul programma iconografico, ma l’attenzione viene indirizzata sulla disputa relativa al periodo della loro nascita. Ivo Petricioli li colloca nel tardo XIV secolo. Le stesse tracce vengono seguite anche da Emil Hilje che nei rilievi sui reliquiari riconosce la mano dell’orefice Francesco da Milano, autore dell’arca di San Simeone. Alla stessa attribuzione si unisce anche Marijana Kovačević che colloca i reliquiari alla fine del XIV secolo, inizio XV secolo. Nikola Jakšić invece esclude il periodo del governo angioino a Nona come periodo al quale potrebbero risalire, perché in quel caso era poco probabile che il leone alato di San Marco – unitamente simbolo della Serenissima – l’unico dei simboli evangelistici eseguiti, fosse raffigurato con l’aureola chiaramente indicata. Pertanto propone la datazione dopo l’anno 1409, non escludendo la possibilità che fossero stati fatti prima della Pace di Zara, stipulata nel 1358. Nell’ultimo caso, il periodo della lavorazione dei reliquiari si avvicinerebbe al secondo quarto del XIV secolo, che qui viene proposto come il periodo della nascita del lampasso. Se teniamo conto che i reliquiari sono opera degli orefici zaratini, constatando che le preziose sete delle celebri manifatture, apprezzate in tutta l’Europa per l’eccellenza di lavorazione e per il disegno moderno, potevano contemporaneamente trovarsi anche a Zara, questa è un’ulteriore dimostrazione dell’altissimo livello culturale che la città aveva raggiunto durante il Medio Evo. In questo contesto, la scoperta della camoccà lucchese nel contempo significa un contributo straordinario alle molteplici citazioni sull’abbigliamento di gran valore, fabbricato con questo tipo di tessuto, appartenente al ricco mercante zaratino in tessuti e sale, Michele di Pietro e sua moglie Filippa. Nell’inventario disposto poco dopo la sua morte nel 1385, i commissari testamentari catalogarono il loro vestiario e per alcuni di loro scrissero che furono tagliati da camuche ovvero camuce, con disegni bianchi e rossi (cum operibus albis et vermiliis) e con cerchi verdi e fiori sullo sfondo verde (camuca viridi ad rotas uirides atque flores). È interessante che nell’ultima parte dell’inventario, in cui è stato riportato l’elenco dei tessuti che si trovavano nella bottega di Michele, non si ravvisa neanche la menzione di questo tipo di tessuto. Il tessuto pregiato proveniente dai centri tessili italiani (Como, Monza, Mantova, Padova, Firenze, Gubbio, Verona, Vicenza) come anche dall’Inghilterra, dalla Francia e dalla Germania molto probabilmente veniva acquistato a Venezia. Sebbene le camuce non fossero offerte in vendita, per ragioni che dipendevano dalla scarsa presenza di quello strato di aristocrazia cittadina che poteva permettersi i più pregiati tessuti di seta, siccome lui e sua moglie avevano fatto fare i vestiti come chiaro simbolo di stato sociale, è chiaro che Michele di Pietro aveva la possibilità di acquistare questo tipo di tessuto e di portarne una certa quantità a Zara. È interessante il documento proveniente dall’archivio familiare di Michele, datato 14/VII/1382, in cui venne annotata una situazione inconsueta relativa al mantello di Bartho Micheli Montidentibus di Lucca, il quale fu smarrito nel naufragio intorno alle isole zaratine, per poi arrivare nelle mani di Michele di Pietro, per cui nacque una controversia in cui il mediatore fu Girardino del Bene di Firenze. Il dato che un gruppo di Toscani soggiornasse e lavorasse a Zara nel secondo quarto del XIV secolo, ci viene rivelato dall’inventario del calafato Radoje del 27 febbraio 1336. I suddetti Toscani non furono mercanti di tessuti ma Ebrei che trattavano operazioni pecuniarie in forma di accettazione in deposito di oggetti più o meno pregiati, mentre il loro documentato soggiorno a Zara, nello stesso periodo in cui datiamo il lampasso di Nona, conferma il fatto che Zara in quell’epoca non era solo un attraente centro mercantile ed economico, ma anche una vera città mediterranea cosmopolita.

Keywords

tessuto; lampasso; Lucca; trecento; reliquiari; Nona; Zara; Venezia

Hrčak ID:

112098

URI

https://hrcak.srce.hr/112098

Publication date:

13.12.2013.

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