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Original scientific paper

Note sullo stile dell'Institutio di Marulić

Ruggero Cattaneo


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page 49-61

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Abstract

0. Il contributo, dopo una breve premessa di tipo culturologico sull’opportunità di adottare in questo ramo degli studi una prospettiva coerente per la letteratura croata antica, superando impostazioni rivelatesi inadeguate come quella croniana, prende in esame il quinto capitolo del III libro dell’Institutio, intitolato De sacerdotibus honorandis. L’analisi testuale intende far luce sugli aspetti stilistici dell’opera, per poi proporre alcuni confronti per la ricerca del più prossimo modello culturale e letterario e indicare le conseguenze di questo genere di scrittura per lo stesso sviluppo linguistico croato.
1. Dopo l’annuncio del tema (quantum honoris sacerdotali dignitati deferri debeat), il testo si articola in tre principali sequenze compositive:
1) esempi di sacerdotium legis (Melkisedek come primo re-sacerdote, Aron come esempio positivo e “contemplativo”, interpretato figuralmente nei diversi sensi, Doeg come esempio negativo e “drammatico”), con un primo elogio del sacedote in coda;
2) dopo la formula di passaggio, esempi di sacerdotium Evangelii, anche qui con una struttura tripartita: la lettera di papa Anacleto e la legge dell’imperatore Costantino come testimonianze autorevoli; episodi tratti dalla vita dei santi, tra cui S. Martino, S. Ambrogio, S. Antonio abate e S. Francesco; un esempio femminile conclusivo (Maria Egiziaca), il cui commento finale sull’eccellenza e unicità sel servizio sacerdotale diventa la migliore introduzione alla sezione successiva;
3) come exhortatio finale, che coinvolga emotivamente il lettore, l’autore colloca un elogio dei sacerdoti come vicari di Cristo e il monito al lettore e a se stesso ad avere il più grande rispetto dei sacerdoti, nonché ai sacerdoti stessi a essere degni di tale vocazione con la loro purezza di vita.
La materia, di per sé frammentaria, acquista nell’elaborazione di Marulić la forma di un insieme unitario, coerente e chiaro, ben articolato e artisticamente rilevante. Già qui si nota la distanza da Valerio Massimo, che aveva più che altro mirato a raccogliere insieme gli esempi perché lo studente di retorica potesse trasceglierli più facilmente per le sue esercitazioni, tanto che la divisione e la titolatura dei capitoli furono probabilmente frutto di un successivo intervento redazionale.
2. Sul piano linguistico, si può dire che il latino di Marulić rispecchia fedelmente la varietà tematica, da una parte variando l’espressione e la sintassi e utilizzando un ornatus moderato, dall’altra con un vigile controllo della generale fluidità del discorso, raggiungendo in tal modo un alto livello di comunicatività e omogeneità testuale.
Gli esempi addotti riguardano casi di strutturazione sintattica complessa, in cui il verbo (e la proposizione) principale evidenziano l’elemento più importante (la decisione morale dei personaggi, il miracolo che risolve la situazione rivelando la volontà di Dio, ecc.); l’uso dell’ordine trimembre e di molti altri artifici retorici (anafora, asindeto, climax, omoteleuto e omeoarcto, chiasmo, allitterazione, iperbato, sinonimia...); il potenziamento ottenuto attraverso la collocazione del verbo all’inizio della frase; lo slancio emotivo che varia l’eloquio con imperativi, congiuntivi esortativi, vocativi ed esclamazioni. Nella terza parte del capitolo, l’elogio lirico del sacerdote va soggetto a una vera e propria elaborazione poetica, con abbondanza di figure di suono e di ritmo, nonché di citazioni bibliche, dirette e indirette. Il risultato letterario è un gioioso inno a Gesù, che a sorpresa termina con il verbo offendat, che suona come un ultimativo, solenne avvertimento al sacerdote.
Marulić dunque varia e/o intensifica secondo la necessità, ma sempre dando al lettore un’indubbia impressione di generale chiarezza e scorrevolezza. Si sente qui che vive ancora in lui (e lo tiene al riparo dagli eccessi retorici) quella vitale latinità medievale, che aveva sempre privilegiato la funzionalità dell’espressione (pur adattata alle nuove esigenze), e non la rigida normatività stilistica e l’imitazione di un ristretto numero di autori, come è per esempio il caso delle Elegantiae del Valla.
3. A tale riguardo può essere istruttivo paragonare il testo di Marulić con il capitolo dedicato allo stesso tema nel De imitatione Christi di Tommaso da Kempis, opera che Marulić, seguace del movimento della devotio moderna, non solo conosce bene, ma traduce anche in lingua croata. Il divario stilistico, infatti, salta subito all’occhio: nel molto più breve De dignitate sacramenti et statu sacerdotali (IV, 5), l’articolazione della sintassi si riduce drasticamente, prevalgono i periodi brevi, l’andamento bipolare e i parallelismi; l’espressione è condensata, ogni parola richiede una sosta di meditazione. Solo nella parte finale troviamo un periodo un po’ più lungo e una serie asindetica, che contribuiscono alla generale impressione di “visione spirituale”, di concentrata tensione interiore.
Marulić ha una sensibilità molto simile a quella di Tommaso da Kempis, ma nell’Institutio ha evidentemente optato per un più ampio, scorrevole e vivace respiro narrativo, attenuando, si direbbe, la linea mistico-ascetica e instaurando col lettore una confidenza e una cordialità più vicine al suo orizzonte culturale e letterario e alla spiritualità cristiano-umanistica di matrice italiana.
Ritengo - e le ricerche future potranno ulteriormente approfondire e verificare il punto - che un modello stilistico, letterario e morale di prim’ordine per l’Institutio di Marulić poté senz’altro essere il Petrarca, anch’egli autore di raccolte di esempi morali, dal Rerum memorandarum al De viris illustribus e al De remediis. Il primo di questi scritti, in particolare, è in gran parte modellato su Valerio Massimo: attingendo a numerose fonti, il Petrarca dà forma a una serie di trattazioni morali, nelle quali dispone esempi tratti dal mondo classico, ma anche contemporaneo (come nel caso di re Roberto di Sicilia), seguendo Valerio soprattutto nel taglio aneddotico della narrazione e nella costruzione di un repertorio di esempi morali tratti dalla civiltà greco-latina, in una prospettiva unitaria. Già nella struttura di fondo, tuttavia, riprende piuttosto la partizione ciceroniana, classica (e cristiana) della materia secondo le quattro virtù cardinali, e soprattutto non può trovare in Valerio e nei suoi manierismi retorici un modello di lingua e di stile che lo soddisfi. È sufficiente considerare alcuni casi nei quali in entrambi gli autori la materia è la stessa o molto vicina, per convincersi del fatto che la lingua morale del Petrarca è del tutto diversa e si può appoggiare sull’esperienza della vitale latinità medievale, che in lui assume la sua misura classica, protoumanistica.
Con la sua sensibilità stilistica, con il suo senso dello studiato equilibrio “musicale” dell’espressione prosastica, Marulić si pone sulla sua stessa linea di libera mistura di antico e moderno, prendendo però la materia dalla Bibbia, dalla tradizione della Chiesa e dalle vite dei santi. Mondo classico e cristiano, in Petrarca come in Marulić, si riconfermano essere i due polmoni del medesimo, unico organismo vivente, poiché l’umanesimo tende alla rinascita spirituale del mondo cristiano, che nell’etica antica cerca appoggio e guida per una coscienza cristiana più serena, riconciliata col mondo.
Lo strumento di tale missione “civilizzatrice” è certamente la lingua latina, che in Petrarca come in Marulić si sviluppa senza alcuna rigidità normativa. E come Petrarca e Dante, anche Marulić promuove in parallelo anche la sua lingua materna (volgare) come lingua letteraria, traducendo in croato l’Imitatio di Tommaso da Kempis, la cui essenzialità e asciuttezza si rivelano il terreno ideale per saggiare le possibilità della prosa croata in via di formazione. Nel corso dei secoli il latino continuerà ad agire con la sua potente azione modellante, e questo “allenamento” della prosa aprirà la strada alla standardizzazione della lingua croata proprio nell’ambito dell’oratoria sacra e della letteratura didattico-morale, la cui lingua raggiungerà nel XVIII secolo, soprattutto per opera della koiné francescana dalmato-bosniaco-slavonica, un alto livello di omogeneità. Come illustrazione si riporta un passo di un’omelia solenne sullo stesso tema di fra Filip Lastrić da Oćevja (1700-1783).

Keywords

Hrčak ID:

11875

URI

https://hrcak.srce.hr/11875

Publication date:

22.4.2007.

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