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https://doi.org/10.31823/d.32.3.2

L’unzione a Betania (Mc 14, 3-9). Una lettura esegetico-tipologica

Anđelo Maly ; Katolički bogoslovni fakultet Sveučilišta u Zagrebu, Zagreb, Hrvatska


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Nel Vangelo di Marco la storia dell’unzione da parte di una donna anonima si presenta come un nocciolo che serve nell’interpretazione del tutto il messaggio marciano. L’unzione a Betania narrata a fianco al racconto dell’Ultima cena ha svegliato l’interesse da parte di alcuni esegeti proprio per la sua posizione. In primo luogo, l’autore cerca di vedere le ragioni e spiegazioni esegetiche di questa problematica. Il racconto marciano dell’unzione a Betania (14, 3-9) assume un significato già grazie alla sua posizione nel micro- e nel macro- racconto. Risulta chiaro che l’azione principale della narrazione è il gesto dell’unzione. Particolarmente l’autore pone l’accento su questo gesto nella narrazione marciana e lo paragona ai testi antico testamentari assieme alla storia dell’interpretazione in vista di una lettura possibilmente tipologica. Con il seguente lavoro, l’autore, grazie a una profonda analisi esegetico-tipologica, cerca di dimostrare se nel testo di Mc 14, 3-9 c’è qualcosa di più rispetto a un solo gesto d’amore da parte di una donna sconosciuta oppure no.

Ključne riječi

Vangelo di Marco, unzione, Betania, Ultima cena, analisi narrativa, tipologia, storia dell’interpretazione

Hrčak ID:

321601

URI

https://hrcak.srce.hr/321601

Datum izdavanja:

23.10.2024.

Podaci na drugim jezicima: hrvatski

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L’unzione a Betania (Mc 14, 3-9). Una lettura esegetico-tipologica

Anđelo MALY*

• https://doi.org/10.31823/d.32.3.2 • UDK: 27-427.6 • Original Scientific Paper Received: 15th May 2024 • Accepted: 14th October 2024

Riassunto: Nel Vangelo di Marco la storia dell’unzione da parte di una donna anonima si presenta come un nocciolo che serve nellinterpretazione del tutto il messaggio marciano. L’unzione a Betania narrata a fianco al racconto dell’Ultima cena ha svegliato l’interesse da parte di alcuni esegeti proprio per la sua posizione. In primo luogo, l’autore cerca di vedere le ragioni e spiegazioni esegetiche di questa problematica. Il racconto marciano dell’unzione a Betania (14, 3-9) assume un significato già grazie alla sua posizione nel micro- e nel macro- racconto. Risulta chiaro che l’azione principale della narrazione è il gesto dell’unzione. Particolarmente l’autore pone l’accento su questo gesto nella narrazione marciana e lo paragona ai testi antico testamentari assieme alla storia dell’interpretazione in vista di una lettura possibilmente tipologica. Con il seguente lavoro, l’autore, grazie a una profonda analisi esegetico-tipologica, cerca di dimostrare se nel testo di Mc 14, 3-9 c’è qualcosa di più rispetto a un solo gesto d’amore da parte di una donna sconosciuta oppure no.

Parole chiavi: Vangelo di Marco, unzione, Betania, Ultima cena, analisi narrativa, tipologia, storia dell’interpretazione.

Introduzione

Tutta la vita terrena di Gesù pienamente rivelata nel mistero della sua passione, morte e risurrezione, in modo peculiare si esprime nei suoi ultimi tratti particolarmente descritta in ultime pagine dei Vangeli. Oltre l’entrata solenne in Città Santa e alcuni discorsi finali, ivi troviamo la descrizione di un gesto d’amore da parte di Gesù che non verrà mai dimenticato e sminuito di valore. Si tratta dell’istituzione di Eucaristia. Il racconto dell’Ultima cena con i suoi si svolge in un ambiente d’intimità e amicizia, ma per questo non mancano degli elementi di cospirazione ancora più forti da parte delle autorità religiose e civili del tempo. Proprio all’interno di tutto questo possiamo ambientare un diverso gesto d’amore, uno del tutto particolare, il gesto di cui si parlerà ovunque sia predicata la Buona novella (Mc 14, 3-9; Mt 26, 6-13; Lc 7, 36-50; Gv 12, 1-8), ed è la famosa unzione a Betania. Spiegare e comprendere il senso preciso di questo gesto non è mai stato un lavoro semplice, perché in sé porta degli elementi a volte troppo profondi perché siano esaminati da un solo punto di vista.

L’unzione a Betania narrata a fianco al racconto dell’Ultima cena ha svegliato l’interesse da parte di alcuni esegeti proprio per la sua posizione. In primo luogo, noi cercheremo di vedere le ragioni e spiegazioni esegetiche di questa problematica. Ciò che ci interessa nel nostro lavoro è il racconto marciano (14, 3-9) e la sua funzione e posizione nel micro- e nel macro- racconto. L’azione principale della narrazione è il gesto dell’unzione. Per questo motivo, un’attenzione particolare sarà data a questo gesto nella narrazione marciana e inoltre paragonato ai testi antico testamentari seguito dalla storia dell’interpretazione in vista di una lettura possibilmente tipologica.

Il seguente lavoro, grazie a una profonda analisi esegetico-tipologica, cercherà di dimostrare se nel testo di Mc 14, 3-9 c’è qualcosa di più rispetto a un solo gesto d’amore da parte di una donna sconosciuta oppure no.

1. L’unzione a Betania e la sua posizione nel Vangelo di Mc

Il cap. 14 di Mc inizia nella vigilia della festa giudaica più importante dell’anno, la festa di Pasqua,1 segnalata da un forte carattere cospirativo contro Gesù (14, 1-2.10.11). In questo clima si svolge un gesto inaspettato di una donna che, entrata nella sala di banchetto, unge la testa di Gesù (14, 3-9). Segue l’ultima cena di Gesù con i suoi discepoli (14, 12-31) e l’inizio della sua passione con la preghiera nel giardino di Getsemani (14, 32ss.). Marco comincia a narrare la passione con la consueta tecnica marciana dell’inserzione.2 Questo parallelismo lo possiamo chiamare un sandwich letterario e serve in funzione delimitativa della nostra pericope, essendoci anche dei paralleli nel vocabolario:3

A – il piano dei sommi sacerdoti di arrestare Gesù (14, 1-2)

B – l’episodio dell’unzione (14, 3-9)

A’ – Giuda come traditore e i sommi sacerdoti (14, 10-11).

Le autorità giudaiche cercano il modo per arrestare Gesù, e Giuda Iscariota, pronto per tradirlo, si mise in collaborazione con essi. La corrispondenza di questi due episodi è ovvia. Tanto le autorità religiose d’Israele quanto Giuda appaiono nell’azione del ‘cercarlo’ (ζητέω). I primi cercano il modo come prenderlo con inganno e Giuda promette di trovare il momento opportuno per consegnarlo. L’uso dello stesso verbo in tutti e due casi, mette Giuda in sintonia con gli avversari di Gesù e, nello stesso tempo, pone una distanza abissale tra lui e il suo maestro.4

Al centro di queste storie di opposizione, Mc inserisce il racconto di una donna che unge il capo di Gesù. È interessante a questo punto menzionare le narrazioni marciane dove le donne sono le attrici primarie nella trama narrativa. Già dall’inizio della storia marciana le donne occupano un posto interessante. Le donne sono presenti nella guarigione della suocera di Pietro (1, 29-31) fino all’apparizione dei messaggeri divini alle tre donne alla fine del Vangelo (16, 1-8). Finalmente, anche il termine ‘vangelo’ e la sua ultima menzione in Mc (14, 9) viene connesso con una donna.5 Cerchiamo ora di esaminarlo dal vicino.

2. Le tappe narrative di Mc 14, 3-9

Il testo dell’unzione di Mc 14, 3-9 è incorniciato dalle due storie di complotto. Ciò che sorprende il lettore è il gesto di una donna anonima che entra nella scena mentre Gesù sta per essere arrestato e finalmente consegnato. Le persone dalle quali si aspetterebbe di più, cioè le guide religiose del popolo e uno dei suoi discepoli, si trasformano in grandi protagonisti del male. Invece, l’unica persona che fa ciò che sarebbe giusto è quella donna anonima.6

L’iato tra i vv. 2 e 3 come anche quello dei vv. 9 e 10 è delineato dall’uso del discorso diretto e dalle congiunzioni. Nel v. 2 c’è il γάρ seguito dal discorso diretto, e in v. 3 s’inizia con il καί seguito da un doppio genitivo assoluto. Dopo il discorso diretto nel v. 9 c’è un nuovo καί seguito dall’introduzione di un nuovo personaggio (Giuda Iscariota). La presenza continua dei pronomi personali riferita a Gesù (vv. 3.6.7.8) e alla donna (vv. 5.6.9) come anche l’uso delle parole chiavi come μύρον-μυρίζειν (vv. 3.4.5.8), πτωχός (vv. 5.7) e ποιεῖν (vv.7.8.9) che uniscono la nostra pericope. Inclusione è fatta dalla menzione della donna in vv. 3 (γυνή) e 9 (αὕτη).

Il tema dell’unzione è l’azione principale della pericope che può essere divisa in seguenti tappe narrative:7

v. 3ab presentazione con la descrizione degli attori e del luogo

Gesù (doppio genitivo assoluto):8 Καὶ ὄντος αὐτοῦ … κατακειμένου αὐτοῦ

Luogo (doppia preposizione): ἐν Βηθανίᾳ ἐν τῇ οἰκίᾳ Σίμωνος τοῦ λεπροῦ

Attore principale e la descrizione (senza l’articolo): ἦλθεν γυνὴ ἔχουσα ἀλάβαστρον μύρου νάρδου πιστικῆς πολυτελοῦς

v. 3c azione principale

Azione: συντρίψασα τὴν ἀλάβαστρον … κατέχεεν αὐτοῦ τῆς κεφαλῆς

vv. 4-5 reazione negativa e la presentazione degli attori secondari

Attori secondari: ἦσαν δέ τινες

Due azioni negative che inquadrano il discorso diretto: ἀγανακτοῦντες πρὸς ἑαυτούς … καὶ ἐνεβριμῶντο αὐτῇ

vv. 6-9 reazione positiva da parte di Gesù (argomentazione ‘etica’) e la conclusione (ἀμὴν δὲ λέγω ὑμῖν)

Presentato in uno schema, abbiamo quanto segue:

Luogo/tempo/ presentazi-one Azione Dinamica
narattore 3ab Καὶ ὄντος αὐτοῦ…
donna 3c κατέχεεν αὐτοῦ τῆς κεφαλῆς
alcuni 4a ἦσαν δέ τινες

4ab ἀγανακτοῦντες

5b ἐνεβριμῶντο

4b-5a Εἰς τί… δοθῆναι τοῖς πτωχοῖς

ostilità/meraviglia

Discorso diretto

rimprovero

critica

Gesù

6a (risposta) εἶπεν

6b-8 Ἄφετε…

9 ἀμὴν δὲ…

ordine + valutazione + prolessi

conclusione

La particella transitiva δέ precede le due parti centrali, come anche quella finale, segnalando la loro funzione narrativa. La narrativa simile viene proposta da Gnilka9 e M. Fander10 mentre Dschulnigg11 e Pérez Herrero12 la suddividono in tre parti.

L’intreccio tra τινες e Gesù è analogo ad alcuni dialoghi di disputa mentre il carattere biografico della narrazione è vincolato con la storia della passione.13 Il suo orizzonte profetico ne salta in evidenza dalle stesse parole di Gesù (vv. 7c-9), mentre il narratore con il gesto stesso dell’unzione da parte di una donna anonima cerca di vedere in essa un possibile modello per la comunità (vv. 4-7ab). Allo stesso momento non mancano delle allusioni ad alcuni testi antico testamentari nei quali si parla dell’unzione, come anche del rapporto con i poveri. Resta da chiedersi se il nostro testo porta in sé degli elementi sufficienti per pensare all’unzione in vista della sepoltura di Gesù (dentro un climax profetico), che s’inquadra nella storia della passione, oppure si tratta di un’unzione (e il racconto intero) che ci porta verso un’interpretazione rivelativa di Gesù (forse regale per quanto riguarda l’interesse del narratore). Ciò che ci sorprende e ci interessa di più, sia a livello narrativo sia a quello interpretativo, è l’anonimità sia della donna sia dei commensali come anche la funzione, la finalità e il significato dell’unzione dietro i detti proclamati dai personaggi messi in scena. Proseguiamo ora verso una possibile interpretazione.

2.1. Attori e azione principale (v. 3)

E quando si trovava a Betania nella casa di Simone, (chiamato) lebbroso, mentre stava disteso (a tavola), entrò una donna che aveva un vaso di alabastro di profumo di nardo puro di gran valore, ruppe il vaso di alabastro, lo versò sulla sua testa (v. 3).14

La locuzione introduttiva (καὶ ὄντος αὐτοῦ) indica l’inizio del racconto (cfr. anche 14,66) e Gesù non viene menzionato per nome (fino al v. 6a). Questo ci rimanda verso la connessione contestuale di questo testo inserito (il nome di Gesù nella storia della passione compare l’ultima volta in 13, 5).15 Il nome Βηθανία (in ebraico »casa dei poveri« o »casa di Anania«) è l’attuale El-Azariah, circa tre chilometri da Gerusalemme verso Gerico. Era un posto d’appoggio per Gesù e i discepoli durante i suoi ultimi giorni a Gerusalemme (Mc 11, 1.11-12.19). In Gv è il paese di Marta, Maria e Lazzaro (Gv 11, 1-14), mentre in Lc nelle vicinanze di Betania è situata l’ascensione (Lc 24, 50-51; At 1, 6-11).16 Secondo Mc 13, 1ss. Gesù non torna a Gerusalemme prima del banchetto pasquale.

La casa di un lebbroso non sarà necessariamente la dimora di Gesù a Betania (οἰκία Σίμωνος τοῦ λεπροῦ). L’appellativo ‘lebbroso’ può essere un soprannome17 (che forse non era nemmeno stato guarito da Gesù, né presente al banchetto). Il titolo lebbroso sembra un po’ strano conoscendo i pregiudizi sociali riguardo a lebbrosi18 (Mc 1, 40-45). È importante questo contesto dello spazio, perché l’evento non accade in città santa ma fuori di essa. Unzione di Gesù prima della sua morte prende il posto nella casa di un lebbroso, e non nel Tempio. Si può suggerire che per Gesù di Mc e per l’evangelista stesso, né Gerusalemme né il tempio sono più luoghi sacri per eccellenza. Sono simboleggiati dalla casa di un lebbroso. Questa inversione dei luoghi che simboleggiano la santità vorrebbe esprimere un rovesciamento nell’idea della santità presentata nel cap. 7 di Mc. Gesù è un liberatore di tutti coloro che si trovano dalla parte sbagliata delle prescrizioni e di coloro che vedono come oppressive le prescrizioni rituali. Tra di loro si trovano anche le donne e i lebbrosi.19 Un’altra volta viene sottolineata la preoccupazione per gli emarginati (2, 16-17). Due genitivi assoluti precisano il luogo e il momento. Nella letteratura greca con l’espressione κατακειμένου αὐτοῦ si pensa a ‘symposium’: un pasto durante il quale un maestro istruisce i suoi discepoli. Questo clima di comunione, pace, amicizia e ozio interrompe un’azione rivelatrice, la venuta di una donna anonima.

Con il verbo ἔρχομαι (all’aoristo) inizia la presentazione della donna. La donna non dice una parola e rimane anonima, ma quello che ha fatto sarà ricordato dovunque sarà predicata la Buona Novella (14, 9). Non importa chi lo fa, ma come e che cosa fa! L’anonimità della donna entra bene nel gruppo degli attori marciani: la donna con il flusso di sangue; la figlia di Iairo, la donna siro-fenicia e sua figlia, i bambini che venivano portati da Gesù perché li benedisse, molte donne presente sotto la croce, centurione anonimo. Accanto all’anonimità della donna, c’è quella dei commensali, il che costituisce un invito ai lettori di identificarsi con una o l’altra parte.20 Qui il narratore entra in dettagliata descrizione del gesto.

Per primo viene descritta soprattutto la donna di cui non si rivela l’identità ma ciò che ella porta con sé. Lei porta un vaso di ἀλάβαστρος21 che poteva essere un articolo di lusso è qui viene descritto in dettaglio: μύρου νάρδου πιστικῆς πολυτελοῦς con il quale si mette in risalto la generosità della donna. Il nardo è un profumo molto costoso ricavato da una pianta spinosa d’India (in Ctc 1, 12 il nardo che diventa la personificazione della sposa in 4, 13, emette una fragranza che allieta il banchetto del re).22 L’aggettivo πιστικός (puro, genuino) si trova solo qui e in Gv 12, 2. Può derivare da pistos (fedele, genuino) oppure da una forma greca del latino spicatum, o dalla pianta del pistacchio (pistakia).23 Comunque, si voleva ancora una volta rilevare la ricchezza e la grandezza del gesto.

Dopo averla descritta, il narratore inizia a descrivere l’azione della donna. Con la nota di energia ed entusiasmo viene usato il verbo συντρίβω, usato anche in 5, 4 per descrivere il violento spezzare delle catene dell’indemoniato di Geraza. Nell’antichità anche i vasi usati per ungere i corpi dei morti venivano spesso rotti e lasciati nella barra. L’uso di questo unguento, definito particolarmente prezioso, può suggerire sin dall’inizio il tema dell’imbalsamazione (16, 1). Con l’espressione κατέχεεν αὐτοῦ τῆς κεφαλῆς si descrive l’azione principale da parte della donna. Dal verbo che regge il genitivo possiamo pensare ad una grande quantità del contenuto del vaso che scende sulla testa di Gesù. Il narratore forse vorrebbe alludere alla situazione dell’unzione antico testamentaria particolare,24 ma in 14, 8 Gesù stesso dirà che si tratta dell’unzione in vista della sua sepoltura.25

Secondo Gnilka26 la consuetudine in Israele era di offrire all’ospite dell’olio per l’unzione prima del banchetto o farli ungere i piedi da parte di uno schiavo. Nel nostro racconto l’unzione è fatta con il profumo, non con l’olio come nell’AT (a volte era anche il profumo, solo che l’uso della parola era più generico). Manca il verbo χρίω (1 Sam 10, 1; 16, 3.12-13; 1 Re 1, 39; 2 Re 9, 3.6)27 come anche l’identità della donna.

2.2. Reazione negativa e attori secondari (vv. 4-5)

E c’erano alcuni che si indignarono (dicendo) uno all’altro: »Perché è successo questo spreco del profumo?« (v. 4) »Infatti, questo profumo si poteva vendere per più di trecento denari e darlo ai poveri; e s’irritavano28 contro di essa.« (v. 5)

Il gesto d’indignazione è riservato alle persone anonime (τινές), e non c’è nessun accenno chi potrebbero essere. Una presenza esplicita dei discepoli a cena non è neanche menzionata. Di nuovo prevale l’azione sopra l’identità. Marco non è un evangelista che tende a ‘perdonare’ ai discepoli.29 Il verbo ἀγανακτέω (lamentarsi, mormorare) è usato in Marco per i discepoli dopo richiesta di Giacomo e Giovanni (10, 41) e si collega bene alle mormorazioni all’inizio del mistero di Gesù (1, 27; 2, 6-8). Lo sdegno per l’azione della donna è espresso nella forma di un »pensiero a voce alta« (cfr. 2, 8; 9, 10; 10, 26; 12, 7; 16, 3), intendendo l’espressione πρὸς ἑαυτούς come traduzione di un dativo etico aramaico.30 Ora il narratore lascia parlare la gente (alcuni – di nuovo anonimi). La domanda e la motivazione dello spreco (ἀπώλεια) esprimono ancora una volta la stravaganza del gesto. Si potrebbe collegarlo con la vedova in Mc 12, 44 oppure con il giovane ricco in Mc 10, 21. La cifra di trecento denari era il salario annuale di un bracciante31 (Mt 20, 2). Dare l’elemosina ai poveri assume una rilevanza concreta nel contesto della storia della passione (14, 1); nella settimana pasquale i Giudei osservanti erano soliti a fare l’elemosina ai poveri.32 Il γάρ introduce una frase subordinata che conferma la nostra proposta di struttura. Dopo una costruzione perifrastica segue la domanda che viene giustificata. La formulazione delle espressioni di sdegno prepara la risposta di Gesù in due sensi: l’azione della donna viene detta uno spreco per il quale si chiede lo scopo; l’alternativa viene espressa con parlare dell’elemosina ai poveri. L’ascoltatore e il lettore possono aspettarsi che la risposta di Gesù riprenda entrambi gli aspetti: la contrapposizione ‘spreco-elemosina’ e la contrapposizione ‘Gesù-i poveri’.33 Mentre il v. 4a esprime solo un dettaglio del narratore, la successiva reazione di Gesù probabilmente viene motivata dal comportamento delle persone sdegnate (v. 5b).

2.3. Reazione positiva e argomentazione ‘etica’ (vv. 6-8)

Allora Gesù disse: »Lasciatela! Perché la date disturbo? Ha compiuto un’opera buona su di me. (v. 6) I poveri, infatti, li avete sempre in mezzo a voi e quando volete potete farli del bene, me invece non sempre avete. (v. 7) Ha fatto ciò che poteva: ha fatto in anticipo l’unzione del mio corpo per la sepoltura.« (v. 8)

Con il δέ si vuole sottolineare la contrarietà di Gesù rivolto a loro, non alla donna (l’aspetto enigmatico del fatto). S’inizia con imperativo seguito da un’interrogativa indiretta. Segue la costatazione giustificativa (2x) che si conclude con un giudizio conclusivo positivo attraverso una prolessi (annuncio profetico). Nelle parole di Gesù si riprende tutto l’itinerario.

Gesù difende la donna e si rivolge a coloro che la criticano. Segue la prima spiegazione del gesto della donna. Ella ha fatto un’opera buona (καλὸν34 ἔργον) a Gesù. Quest’ opera non è un ‘elemosina’ ai poveri, bensì un ‘atto d’amore’ verso Gesù. Nel giudaismo rabbinico la beneficenza distingueva tra elemosine (offerte in denaro e possibili in ogni momento) e opere buone (l’impegno spontaneo e personale, situazioni concrete – da esse fa parte la sepoltura di un morto Tb 1, 18).35 Mentre l’elemosina si fa solo ai poveri, l’atto d’amore si può fare anche ai ricchi. L’atto d’amore è quindi superiore all’elemosina, e così Gesù si presenta superiore ai poveri.36 La risposta di Gesù va quindi intesa sulla base della distinzione giudaica fra l’elemosina e gli atti d’amore. E perché donna ha fatto una tale opera viene spiegato da quanto segue.

Le parole di Gesù (v. 7a) evocano la »legge dei poveri« (Dt 15, 1-11), che contiene una serie di prescrizioni circa la cura dei poveri. La loro presenza è uno stimolo ad aver cura di loro e a fare l’elemosina. Con ἐμὲ δὲ οὐ πάντοτε ἔχετε si può pensare ad un’altra predizione della passione.37 La contrapposizione temporale πάντοτε – οὐ πάντοτε consente di non contrapporre i poveri a Gesù; ora è lui il povero. Attraverso l’azione di una donna anonima si esprime la fede e la vigilanza del vero seguace (13, 33) capace di distinguere chronos (tempo regolare: »I poveri li avete sempre« e le elemosine si possono dare sempre) dal kairos (tempo particolare: »Me non sempre avete«)38. Lo sposo che verrà portato via (2, 20) in un chiaro annuncio della morte, acquista carattere di urgenza nel contesto dell’unzione.39 La stessa disposizione interna, la stessa disponibilità e lo stesso amore che troviamo nel caso della vedova in 12, 44, lo troviamo anche qui – ha fatto ciò che era in suo potere (ha fatto tutto). Le elemosine sono quindi legate al chronos, mentre gli atti d’amore vengono legati al kairos e allo sforzo personale. La motivazione avviene già in vista della morte di Gesù e prepara la spiegazione finale dell’atto d’amore.40

Il gesto può essere profetico41 ma l’unzione come tale è manifestata da Gesù (προέλαβεν) ed espressa in una proposizione relativa (ὃ ἔσχεν ἐποίησεν) assumendo probabilmente un altro significato. Proprio come la Passione inizia con una donna che unge la testa di Gesù in vista della sua sepoltura (14, 8), così anche finisce con più donne che sono venute per fare lo stesso (16, 1). »Fin dall’inizio della sua passione Gesù è già un morto che cammina«.42 La donna ha agito come richiedeva la situazione, ha fatto ciò che poteva (v. 8a). La domanda del v. 4b qui ha ottenuto la sua risposta da parte di Gesù che contiene nello stesso momento non solo la giustificazione contestualizzata in quanto una profezia di morte.

2.4. Conclusione (v. 9)

In verità vi dico: »Dovunque fosse predicato il vangelo per tutto il mondo, anche quello che lei ha fatto, si racconterà in memoria di lei.« (v. 9)

Il detto conclusivo (ἀμήν) sta per confermare quanto è stato detto. In Mc serve per confermare minacce escatologiche (3, 20; 8, 21; 9, 1; 13, 30), promesse (9, 41; 10, 15.29; 11, 22; 14, 25), benedizioni implicite (12, 42) e predizioni profetiche (14, 18.30). Qui c’è il motivo della promessa (Ap 14, 6).43 La predicazione del vangelo delle tre fasi del ministero di Gesù qui assume il suo significato: il suo arrivo (1, 14), sua passione (14, 9) e sua assenza quando il vangelo sarà proclamato dalla comunità (13, 10). Si rivela così la qualità escatologica dell’azione della donna, la sua importanza di fronte a Dio. »La formulazione ‘amen’ sottolinea la visione apocalittica di colui che parla e l’orizzonte apocalittico del detto«.44 L’intera risposta di Gesù era fondata sulla preveggenza della propria morte ed ora si parla dell’atto della donna che verrà citato come merito di fronte a Dio ovunque si annunzierà il vangelo.

In ricordo di lei (εἰς μνημόσυνον) si trova solo qui e in Mt 26, 13. Può significare »come memoriale per lei« nel senso che ciò che ha fatto farà sempre parte della proclamazione del vangelo. Oppure la connotazione escatologica che Dio si ricorderà della donna e riconoscerà ciò che ha fatto al momento del giudizio finale (gli anonimi di Mt 25, 31-46). Nel giudizio il ‘merito’ della donna, il suo atto d’amore, sarà menzionato di fronte a Dio per la sua salvezza.45 A differenza di Lc (23, 19) e Paolo (1 Cor 11, 24), Mc non fa nessun accenno di un’azione fatta »in memoria (anamnesin) di me« nel racconto dell’Ultima Cena.46 »Se la morte e la risurrezione stanno in primo piano, Marco fa capire proprio qui che il Vangelo vuol essere anche racconto e memoria di ciò che è avvenuto nella vita e nell’attività del Gesù terreno«.47

3. La questione dell’unzione

L’unzione riceve il suo significato dalla bocca stessa di Gesù dopo le reazioni degli astanti. Però a livello narrativo ci viene suggerita la possibilità di pensare l’unzione sotto vari aspetti. Questo racconto e il gesto dell’unzione non solo riguardano l’anticipazione della morte di Gesù in vista della sua sepoltura (Mc 14, 8) ma anche ci rimandano verso l’interpretazione dell’unzione della testa con delle connotazioni regali48 e/o sacerdotali, per quanto possibile trovare dei testi anticotestamentari che parlano di un gesto simile.

Dal racconto dell’unzione a Betania possiamo alludere ai temi antico testamentari che percorrono tutto il racconto della passione. Particolarmente influente è il tema del giusto sofferente, che è ingiustamente inseguito dai suoi nemici.49 Queste allusioni le troviamo nei Salmi (22; 31; 35; 69; 71), nei profeti (Ger 11, 18-19; Is 52, 13-53,12) e anche nella letteratura sapienziale (es. Sap 2, 12ss). Significativo è anche il Sal 23, 5. Proviamo ora a vedere il possibile significato del gesto per poter esaminare la sua finalità.

3.1. Quale unzione?

Secondo la Bibbia l’unzione era praticata per le ragioni profane o religiosi.50

Per le ragioni profane (espressa in eb. con sûk e mašaḥ e in gr. χρίειν e ἀλείφειν): per proteggere la pelle e preservarne la luminosità e morbidezza (Sal 104, 15), le classi benestanti si ungevano con gli unguenti più raffinati (Est 2, 12; Ct 3, 6; Mc 14, 3; Es 30, 25.35; Ne 3, 8; Qo 10, 1). L’unzione è anche un gesto che esprime l’ospitalità e viene praticato sulla testa dell’ospite al quale si vogliono fare gli onori di casa (Sal 23,5; 133, 3; 141, 5; Lc 7, 46).51 L’unzione può essere un segno di gioia (Prov 27, 9; Qo 9, 8; Ct 1, 3; 4, 10; Is 61, 3; Sal 45, 8) oppure la sua assenza rappresenta un lutto (2 Sam 14, 2; Gdt 10, 3); un segno di maledizione (Dt 28, 40) o di penitenza (2 Sam 12,20; Dan 10, 3; Mt 6, 17). Anche se Israele non praticava la mummificazione in maniera egiziana, c’era usanza di ungere i cadaveri con oli aromatici (Mc 16, 1; Lc 23, 56; Gv 19, 39-40).

Per le ragioni religiose (sempre dal verbo mašaḥ in eb. e in gr. χρίειν) l’unzione poteva essere applicata alle cose (Giacobbe che unge le stele di Betel in Gen 31, 13; la consacrazione della tenda del convegno in Es 30, 26-29; Lev 8, 10-11) e alle persone (specialmente i re e i sommi sacerdoti).

3.1.1. Unzione regale e profetica

Anche se la Bibbia menziona soltanto l’unzione di alcuni re, sembra che tutti i re fossero unti. Il re è costituito tale proprio dall’unzione, come anche il titolo di ‘unto (māšîaḥ) del Signore’ designa il titolo regale per eccellenza. Il rito, di origine straniera, è dato in nome di Dio (1 Sam 9, 16; 16, 3; 2 Sam 12, 7), da un profeta (1 Sam 10, 1; 16, 12-13; 1 Re 19, 16; 2 Re 9, 3.6.12), dal sommo sacerdote (1 Re 1, 34.35). Si svolge in un luogo santo (1 Re 1, 34; 2 Re 11, 12) con olio santo (1 Re 1, 39), accompagnato dalla discesa dello spirito del Signore (1 Sam 10, 6; 16, 13) e così fa del re un consacrato (nēzer: 2 Sam 1, 10; 2 Re 11, 2; Sal 89, 40) che si mette in relazione particolare con Dio e come tale risulta inviolabile (1 Sam 24, 7.11; 2 Sam 1, 14.16).

»Niente permette di affermare che fu eseguito l’ordine di ungere Eliseo come profeta (1 Re 19, 16) e tutto lascia supporre che l’unzione del profeta (Is 61, 1=Lc 4, 18), come pure il titolo di ‘unto di JHWH’ dato a Ciro (Is 45, 1), ai patriarchi (Sal 105, 15=1 Chr 16, 22) e probabilmente al popolo (Ab 3, 13; Sal 28, 8), sia una metafora«.52 Gli elementi che troviamo in unzione di un re li troviamo anche in unzione di un profeta. Nel NT questa unzione coincide con la discesa dello Spirito del Signore. Secondo l’interpretazione di Is 61, 1 »Cristo« significa l’unto dallo Spirito di Dio (2 Cor 1, 21-22; Lc 4, 18; At 4, 27; 1 Gv 2, 20.27; Eb 1, 9).53

3.1.2. Unzione sacerdotale

Era fatta al sommo sacerdote o estesa a tutti i sacerdoti come elemento del rituale della consacrazione. Secondo le prescrizioni da Dio (Es 29, 7) Mosè versa l’olio dell’unzione sulla testa di Aronne e lo unge per consacrarlo (Lev 8, 12). L’unzione di tutti i sacerdoti avviene per l’aspersione dell’olio dell’unzione (Es 40, 12-15). Le unzioni di Zadok (1 Chr 29, 22) e di Aronne (Sir 45, 15) rivelano l’investitura del sommo sacerdote di quel periodo, come forse: l’Unto di Sal 84, 10 e il »consacrato soppresso« di Dan 9, 26 (Onia III di 1 Macc 4, 30-38).

Vediamo ora di quale tipo dell’unzione si tratterebbe nella nostra pericope.

3.2. L’unzione in Mc 14, 3-9

Come abbiamo visto, l’unzione era comune nell’AT sia per la consacrazione dei re sia per quella dei sacerdoti. Come un altro possibile parallelo per l’unzione a Betania si potrebbe inserire anche quella di un gesto di ospitalità (in Lc), come anche la questione dell’unzione per la sepoltura. In Is 61, 3 mentre si tratta della vocazione di un profeta, viene menzionato »l’olio di letizia invece del dolore« che potrebbe collegare bene il nostro racconto nel contesto della passione. Ciò che risulta chiaro dalla storia dell’unzione in Mc 14, 3-9 è l’elemento dell’istruzione nel quale il gesto si inserisce.54 L’unzione è il tema principale della nostra pericope che come tale in sé porta degli elementi non solo di un’unzione regale (il tema AT), ma anche ‘profetica’ (14, 8) perché bisogna spiegare il suo significato.

3.2.1. L’unzione a Betania, un’unzione regale?

Ciò che a prima vista ci sembra più evidente è di inserire il nostro testo nel contesto delle unzioni regali. L’unzione regale la troviamo nell’AT per i seguenti re:55 Saul in 1 Sam 9, 16; 10,1; 15, 1.17; Davide in 1 Sam 16, 13; 2 Sam 2, 4.7; 3, 39; 5, 3.17; 12, 7; Sal 89, 21; 1 Cr 11, 3; 14, 8; Assalonne in 2 Sam 19, 11; Salomone in 1 Re 1, 34.39.45; 5, 15; 1 Cr 29, 22; Iehu in 1 Re 19, 16; 2 Re 9, 3.6.12; 2 Cr 22, 17; Ioas in 2 Re 11, 12; 2 Cr 23, 11; Ioacaz in 2 Re 23, 30. Queste unzioni erano il segno dell’investitura e avvenivano con il versare dell’olio sul capo da parte di un sacerdote o di un profeta (nel nostro caso da una donna anonima). L’unzione descritta in 1Sam 10, 1 trova alcuni tratti in Mc 14, 3:

1 Sam 10, 1: καὶ ἔλαβεν Σαμουηλ τὸν φακὸν τοῦ ἐλαίου καὶ ἐπέχεεν ἐπὶ τὴν κεφαλὴν αὐτοῦ καὶ ἐφίλησεν αὐτὸν…

Mc 14, 3: …ἦλθεν γυνὴ ἔχουσα ἀλάβαστρον μύρου νάρδου πιστικῆς πολυτελοῦς, συντρίψασα τὴν ἀλάβαστρον κατέχεεν αὐτοῦ τῆς κεφαλῆς.

In altri racconti di solito non è menzionata l’unzione sulla testa, ma si tratta solo dell’ungere. Anche il verbo è diverso: ἐπέχεεν/κατέχεεν, ma probabilmente connota le stesse azioni.

Il re unto richiama ad un carattere sacro che veniva seguito da un suono di tromba56 (oppure il clamore della gente in 1 Re 1, 45, simile alla mormorazione dei commensali in vv. 4-5). Le parole di accoglienza e di augurio (es. quelle espresse da Benaia in 1 Re 10, 36-37) iniziano con un: »Così sia!«, che fanno pensare all’amen di Gesù in v. 9. Il mulo menzionato in 1 Re 1, 44 fa pensare ad un altro elemento regale che troviamo in Mc, un po’ prima della nostra unzione (l’entrata nella Città Santa sull’asino in Mc 11, 7). Possiamo, quindi, dire che abbiamo un contesto vicino a quello di Mc.

L’unzione regale a re Iehu in 2 Re 9, 1-13 porta parecchie somiglianze con il nostro testo. Si tratta dell’unzione con l’olio di un vaso (2 Re 9, 1); l’unzione si svolge in una casa, in una camera interna (9, 2.6); i personaggi sono seduti in una casa (9,5); il profeta versa l’olio sulla testa del re (9, 3.6); ci sono delle mormorazioni (9, 11); si parla della sepoltura (9, 10). L’atmosfera di racconto cerca di far capire al lettore come la parola di Dio ha cominciato a operare nel segreto.57

Vediamo ora le somiglianze a livello testuale:

2Re 9,1-13Mc 14,3-9

1 λαβὲ τὸν φακὸν τοῦ ἐλαίου τούτου ἐν τῇ χειρί σου

2 καὶ εἰσελεύσῃ καὶ εἰσάξεις αὐτὸν εἰς τὸ ταμίειον ἐν τῷ ταμιείῳ

6 εἰσῆλθεν εἰς τὸν οἶκον καὶ ἐπέχεεν τὸ ἔλαιον ἐπὶ τὴν κεφαλὴν αὐτοῦ

3 καὶ λήμψῃ τὸν φακὸν τοῦ ἐλαίου καὶ ἐπιχεεῖς ἐπὶ τὴν κεφαλὴν αὐτοῦ

5 καὶ εἰσῆλθεν καὶ ἰδοὺ οἱ ἄρχοντες τῆς δυνάμεως ἐκάθηντο

10 οὐκ ἔστιν ὁ θάπτων

vaso dell’olio

luogo:

stanza di una casa

versare dell’olio

personaggi seduti

ἀλάβαστρον μύρου νάρδου πιστικῆς πολυτελοῦς

Καὶ ὄντος αὐτοῦ ἐν Βηθανίᾳ ἐν τῇ οἰκίᾳ Σίμωνος τοῦ λεπροῦ,

συντρίψασα τὴν ἀλάβαστρον κατέχεεν αὐτοῦ τῆς κεφαλῆς.

κατακειμένου αὐτοῦ

11 καὶ εἶπον αὐτῷ εἰ εἰρήνη τί ὅτι εἰσῆλθεν ὁ ἐπίλημπτος οὗτος πρὸς σέ καὶ εἶπεν αὐτοῖς ὑμεῖς οἴδατε τὸν ἄνδρα καὶ τὴν ἀδολεσχίαν αὐτοῦ

sepoltura

mormorazione

ὃ ἔσχεν ἐποίησεν· προέλαβεν μυρίσαι τὸ σῶμά μου εἰς τὸν ἐνταφιασμόν.

ἦσαν δέ τινες ἀγανακτοῦντες πρὸς ἑαυτούς, Εἰς τί ἡ ἀπώλεια αὕτη τοῦ μύρου γέγονεν; ἠδύνατο γὰρ τοῦτο τὸ μύρον πραθῆναι ἐπάνω δηναρίων τριακοσίων καὶ δοθῆναι τοῖς πτωχοῖς· καὶ ἐνεβριμῶντο αὐτῇ.

Anche se ci sono dei tratti comuni, crediamo che qui si tratti di qualcosa di più. Nel racconto AT manca la questione dei poveri e la promessa finale. Così anche l’unzione dei re nell’AT avviene per mezzo di un profeta o un sacerdote, in Mc è una donna anonima. Nemmeno si parla dell’olio ma di un profumo di nardo. Nel contesto più ampio il re Iehu dopo l’unzione assume il potere e la forza, mentre Gesù viene consegnato alle mani dei nemici. L’identità regale di Cristo che propone il narratore marciano nel suo macro- racconto è nello stesso momento evidente e soffocata, mentre a nostro avviso, con il gesto dell’unzione a Betania si vorrebbe sottolineare soprattutto la sua portata cristologica (v. 7-8). Perciò, cerchiamo di trovare le ragioni per questo.

3.2.2. Unzione di un sacerdote?

Con l’unzione sacerdotale si pensa a quella del sommo sacerdote (Es 29, 7.29; Lev 4, 3.5.16; 8, 12) oppure a quelle dei sacerdoti in generale (Es 28, 41; 30, 30; 40, 15; Lev 7, 36; 10, 7; Num 3, 3). L’unzione sacerdotale faceva parte dell’investitura sacerdotale, che constava di quattro parti: purificazione, vestizione, unzione e senz’altro della parte sacrificale (cfr. Es 29: Lev 4). L’unzione si faceva con l’olio speciale (olio dell’unzione)58 che veniva versato sul capo del consacrato.

Anche se volessimo pensare all’unzione di Betania come un’unzione sacerdotale, dobbiamo cercare dei collegamenti più simbolici, che quelli tipologici. Il contesto di Mc: durante i festeggiamenti di Pasqua e prima dell’Ultima cena (il carattere sacrificale), ci offre un possibile pensare a Gesù di essere unto sommo sacerdote. Ma bisogna sottolineare che nell’AT, come anche nel racconto di Betania, l’unzione sacerdotale, non avviene attraverso il versare dell’olio da parte di una donna. Gesù, sommo sacerdote, che si offre come vittima, non viene unto da una donna anonima, ma è già stato unto da Dio (cfr. sinottici).

3.2.3. Un’unzione profetica?

Il testo dell’unzione a Betania porta in sé anche degli elementi di un’azione profetica: dopo il gesto dell’unzione c’è il rimprovero, il comando e l’esplicazione.59 Nel racconto di Betania manca l’elemento del comando, ma esiste tutta una serie del simbolismo ivi nascosto. Dopo l’unzione (v. 3c), segue la domanda dei commensali e la loro obiezione (vv. 4-5). La chiusura nella quale si spiega il simbolismo del gesto viene fatta da Gesù (vv. 6-8). L’obiezione (il rimprovero) e l’esplicitazione in Mc 14, 3-8 formano così il genere della contestazione,60 cara ai profeti. Il v. 9 lo possiamo includere nel contesto della missione.

In Is 61, 1-3 possiamo trovare il parallelo con la nostra pericope. Ne vediamo i tratti comuni: l’unzione (anche se con il verbo χρίειν); fare del bene (cioè la missione) ai poveri; proclamare la buona novella (Mc 14, 9). L’unica differenza è che in qualche modo nell’unzione in Mc uno potrebbe pensare che nella seconda parte (vv. 4-5) è la donna che assume il ruolo del profeta (ma crediamo che è più giusto pensare a Gesù, che viene sviluppato nel testo di Mc più avanti, particolarmente al momento della risurrezione).

Le obiezioni dei commensali sono pure un elemento profetico. In Ezechiele uno può trovare diverse occasioni nei quali si trova la constatazione alla missione del profeta (Ez 12, 9; 24, 19; 37, 18) come anche il disaccordo (Ez 21,1 2) nei quali si cerca di dare la risposta alla missione stessa del profeta.61 Il rimprovero dei commensali in Mc 14, 3-8 è pure un tipo del rifiuto del profeta unto. Questo rimprovero è rivolto direttamente alla donna, ma indirettamente a Gesù, verso colui che ha permesso di compiere tale azione. La risposta a questo rimprovero viene portata avanti da Gesù stesso che non esita di compiere il suo ruolo che vogliamo chiamare profetico.

Il ciclo di Elia (1 Re 17 – 2 Re 1, 18) come anche quello di Eliseo (2 Re 2, 1 – 13, 25) ci possono anche aiutare nella comprensione della nostra pericope. Elia evoca nella sua missione il liberatore d’Israele. Nella sua missione, lui è il profeta per eccellenza, come Mosè. In 1 Re 19, 19 lui parte del monte Horeb e si reca là, dove ha iniziato a eseguire il mandato di Dio62 (cfr. Betania). Dio gli affida il compito di ungere, cioè, consacrare (1 Re 19, 16). Incontra Eliseo e gli getta il suo mantello addosso con il quale lui assume il suo ruolo. Con il 2 Re 1 si chiude il ciclo di Elia, introducendo il ciclo di Eliseo (2 Re 2, 1-11). Elia risulta una figura straordinaria che rinnova gli eventi dell’Esodo con il suo ruolo centrale di mediatore tra Dio e gli uomini. È lui uno che incontrerà Dio »nel suono del silenzio« (1 Re 19, 12). »Solo nella perfetta e intima esperienza di Dio, storicamente inesprimibile con l’eloquenza del vuoto e del silenzio, è possibile capire perché bisogna adorare l’unico Dio; (…) solo chi sa e vuole amare veramente l’uomo sa scegliere e amare l’unico Dio. Per i cristiani, la realizzazione di tale assioma è la figura di Gesù Cristo«.63 È proprio qui che sta l’anonimità, in modo particolare quella della donna. Solo chi riesce a capire chi è il vero profeta, rimarrà in silenzio, ma il quanto ha fatto sarà narrato attraverso la sua parola (Mc 14, 9).

4. Storia dell’interpretazione

Seguendo alcuni Padri della Chiesa Gnilka parla dell’importanza dei poveri e sul rapporto tra l’amore per i poveri e l’amore per Gesù, e non tanto del significato dell’unzione in sé. Seguendo la linea di Origene come modello prende il racconto lucano dove la donna unge i piedi di Gesù. Così si arriva alla distinzione tra l’unzione dei piedi e l’unzione del capo. »La prima avviene con oleum più scadente la seconda con unguentum prezioso. L’interpretazione diventa sospetta quando l’oleum viene posto sul medesimo piano delle opere buone compiute in favore dell’uomo (elemosina, visita ai malati, accettazione dei pellegrini, ecc.), l’unguentum sullo stesso piano dell’opera che è destinata unicamente a rendere onore a Dio (preghiera, digiuno, pazienza, ecc.)«.64 Certamente, questa è una interpretazione allegorica.

Secondo Herrero,65 nel linguaggio biblico, essere anonimo è una nota importante. Con le persone senza nome il lettore si può identificare più facilmente. Nella donna si trova un amore silenzioso e senza riserva, mentre nei commensali esiste il paradigma di quei cristiani che operano per dei motivi equivoci. Ci sono allora due ragioni nella pericope che s’intrecciano: la donazione totale e l’azione silenziosa. La totalità è espressa nel rompere del vaso di alabastro e viene legata all’amore verso i poveri, dove non dovrebbero essere dei limiti. Nel suo agire, il cristiano si deve mostrare sempre di più interessato nell’operare che nel parlare. Solo quando saremmo capaci di rompere i vasi preziosi dei nostri calcoli egoistici, dei nostri ragionamenti insensati, di tutte le nostre preoccupazioni, comincerà a diffondersi attorno a noi il vero profumo del vangelo.

Fander66 propone nell’unzione una rilettura escatologica, ovvero il suo compimento escatologico. L’unzione messianica in prospettiva della sepoltura di Gesù, in sé nasconde forte carattere messianico che sarà rivelato con la donazione della vita sulla croce. Tutto va visto in prospettiva della passione. La mormorazione da parte dei commensali si prolunga attraverso il racconto nel tradimento di Giuda e nel diniego di Pietro. Ancora più forte sarà nel momento dell’incoronazione (15, 16-20) e degli insulti mentre il Signore sarà appeso sulla croce (15, 29-32). Si potrebbe concludere che qui si tratta di una vera rivelazione messianica di Gesù. Il rompere del vaso di alabastro allude al buio nel momento della morte di Gesù come un segno distruttivo e come tale profetico e apocalittico (15, 33). La donna che assume la funzione profetica riassume la funzione dei re e dei profeti che potrebbe assumere anche il significato ecclesiologico.

L’importanza è stata data anche al contesto dell’unzione. Barton67 parla dell’interesse cristologico dell’evento, trovando nella donna anonima la prefigurazione di Cristo. L’idea qui non sta nella comprensione cristologica, quanto in un cambio dei ruoli.68 Il suo amore stravagante, nell’atto altruistico della donazione completa di sé stessa, provocando il conflitto, è l’anticipazione narrativa di quanto accadrà a Cristo stesso. Questo viene confermato dal contesto narrativo. Il racconto dei vv. 3-9 è il primo nella sequenza dei due racconti sul modello di amicizia presso la mensa (»table-fellowship«). Il racconto dell’ultima cena (Mc 14, 12-25) è in pieno contrasto con il racconto dell’unzione. In ciascuno si trova il riferimento alla morte di Gesù, particolarmente il suo corpo (14, 8.22). E tutti e due finiscono nello stesso modo: »In verità, io vi dico…« (14, 9.25). Queste corrispondenze rafforzano l’idea che la donna che unge è una figura di Cristo, e non solo, essa è anche il modello del discepolo. Questa interpretazione ci sembra troppo emblematica, soprattutto perché basata sui presupposti che non sono stati troppo sviluppati.

Simoens69 prosegue sulla stessa linea, ma sviluppando gli argomenti. Ci sono dei paralleli nel racconto di Betania con quello dell’ultima cena: Gesù è sdraiato/seduto (14, 3) e si trova a tavola (14, 18), l’attività del mangiare è espressa in 14, 22. La connotazione dell’alleanza è forte (cfr. Es 24, 11; il banchetto della saggezza in Sir 24, 19-22; Prov 9, 1-6; la cena delle nozze in Ctc 5, 1; la festa messianica in Is 25, 6-8; Is 55). L’alleanza nel contesto della benedizione e l’azione di grazie sono espressi in Mc 14, 22.24. Altri elementi che mettono insieme l’unzione e la cena sono: il vaso viene rotto come il pane viene spezzato (è una simbologia ‘profetica’); la donna versa il profumo come verrà versato il sangue (c’è lo stesso verbo); il menzionare del »mio corpo« in 14, 8 e 14, 22 ha la stessa espressione (τὸ σῶμά μου). La donna solo agisce, non dice una parola, le sue azioni parlano per sé. Nella donna anonima, secondo Simoens, si trova la tipologia di tutte le donne. Per lui Eva è l’incarnazione della donna di Betania. Nel Cantico dei Cantici attraverso i simboli del profumo (Ctc 1, 3-4; 2,5; 4, 10.14) e del nardo (Ctc 1, 12; 4, 13-14), è possibile identificare la donna anonima. Essa è più di Eva, soprattutto perché compie un gesto valoroso sul corpo di Gesù, che sottolinea il carattere eucaristico. Questo gesto vale di più delle sole parole, e come tale troverà il suo posto nelle pagine evangeliche. La donna così partecipa al mistero di Cristo: profeta, re e sacerdote. Questa proposta, a nostro avviso, non ha tanto senso, siccome si parla di un contesto di sepoltura.

5. Una proposta

Il brano di Mc 14, 3-9 in sé porta degli elementi anticotestamentari che ci hanno fatto riflettere sui tipi dell’unzione dei re e dei sacerdoti anticotestamentari, come anche quelle profetiche. Pensando all’unzione regale e sacerdotale che potevano scaturire dall’intenzione del narratore, abbiamo considerato anche quella profetica, soprattutto nelle parole di Gesù.

Dal nostro racconto scaturisce la nota profetica. Gesù è il compimento di quanto hanno fatto e annunciato i profeti. Non è tanto Gesù il profeta, ma la donna anonima che con il gesto preannuncia quanto dovrà accadere (v. 8). Oltre all’unzione, c’è anche il rimprovero da parte dei personaggi messi in scena. Ora avviene il cambio dei ruoli quando Gesù prende la funzione di un profeta dei tempi prossimi (vv. 6-9). Tutto gira attorno alla sua parola, e attorno quel gesto supremo dell’amore. È facile a capire qual era la bellezza del gesto. È bello perché inaspettato; la donna viene nel mezzo del banchetto a dare un profumo incredibile a tutta la sala, senza che nessuno lo prevedesse. È anche un gesto gratuito, totale, esaustivo (v. 8). Ci richiama così l’obolo della vedova (Mc 12, 41ss.) che pur avendo fatto niente dal punto di vista dell’efficienza, ha fatto tutto perché ha espresso sé stessa. Infine, questo gesto è bello perché è profetico: »In vista della mia sepoltura«. Quello che i discepoli non avevano capito, l’ha compreso la donna anonima che con il suo gesto ha profetizzato la morte e risurrezione del Signore. Possiamo anzi dire che la donna, con quel gesto, entra nella morte e risurrezione di Gesù. L’accettare quella morte, come gesto supremo d’amore, è più che compiere un’opera buona per i poveri. È una questione nostra, dove Gesù nelle sue parole indica a noi stessi che siamo poveri nella nostra incomprensione del suo amore per noi. È qui che sta la chiave profetica del testo. Il profeta Unto, disprezzato (Mc 6, 4; 14, 65; 15, 29) che deve essere riconosciuto e servito è Gesù stesso. Questo è il possibile significato del gesto, ma bisogna chiedersi se l’unzione deve essere pensata come un’unzione profetica o no, essendo Gesù già »unto« da Dio nel momento del battesimo sul fiume Giordano (Mc 1, 9-10)?

L’azione di una donna che unge il corpo di Gesù si trova in tutti e quattro i vangeli (cfr. Mt 26, 6-13; Lc 7, 36-50; Gv 12, 1-12). Il narratore del racconto marciano forse non voleva immediatamente alludere a un’unzione regale ma il contesto lo vuole »imporre« al lettore sin dall’inizio della storia della passione. La regalità di Cristo percorre il vangelo di Mc, soprattutto nei racconti della Passione nel quale s’inserisce il nostro racconto. Quando si parla dell’entrata messianica di Gesù a Gerusalemme (Mc 11, 7) Gesù viene esclamato re. Da tutte queste allusioni il narratore vorrebbe dire che a Betania si tratta di un’unzione regale, a maggior motivo che Gesù è già stato riconosciuto e proclamato re (Mc 11, 10) prima della sua unzione avvenuta a Betania. Questa regalità verrà ancora più forte espressa al momento del suo processo davanti a Pilato (Mc 15, 2.9) e sulla croce (15, 32). Questa unzione può essere presa come una puntualizzazione e continuazione dell’entrata ‘messianica’ di Gesù a Gerusalemme, dove unto come il Messia regnerà soltanto attraverso la sua sofferenza e morte.70 Gesù, ‘unto’ al momento del battesimo, durante il suo ministero inizia a predire quanto gli dovrà accadere (Mc 8, 31; 9, 31; 10, 33-34) e questo lo distingue dal concetto regale che noi abbiamo in mente. Nessun re, al momento della sua investitura (unzione) non sa come andrà a finire il suo regime e il suo regno ma Gesù è consapevole di quanto gli accadrà. Anche qui, al momento dell’unzione a Betania lui parla della sua sepoltura. Quindi, Gesù che è nello stesso momento il re e il profeta, per quanto possibile a intuire dal macro- racconto, ci pone di fronte della difficoltà interpretativa del gesto dell’unzione in questo caso specifico.

Conclusione

Nel vangelo di Marco la storia dell’unzione da parte di una donna anonima esprime un tipo di nocciolo che serve nell’interpretazione del tutto il messaggio marciano. Il discepolato di Cristo non è escluso, chiunque potrebbe seguire Gesù (cfr. 9,38-41).71 Non ci sono le restrizioni in quanto riguarda il sesso o le prescrizioni rituali. Il discepolato di Cristo è basato non sul criterio dello stato di qualcuno, ma sul criterio dell’azione. »Chiunque avrà fatto la volontà di Dio, è mio fratello, sorella e madre« (Mc 3,35), diventa il principio di Gesù. Il rigetto di tale criterio verrà espresso dal Cristo sofferente: »Poiché il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire, e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti« (10, 45). È in gioco il nuovo tempo inaugurato da Gesù, non si tratta più del chronos (il tempo regolare) ma del kairos (il tempo particolare). È il tempo del Regno di Dio e della venuta del suo Figlio nel quale ciò che conta sono i supremi gesti d’amore e del servizio. Questo agire non è semplice (è s’irritavano contro…) ma porta in sé degli elementi importanti e sempre presenti nella storia del cristianesimo. Questo conflitto è vendicato da Gesù al momento del suo sacrificio.

Di questo sacrificio, lui è un vero profeta. Ne è consapevole di esso, lo annuncia e infine lo compie. La buona notizia (il vangelo) di questo sacrificio include in sé tutta la storia della passione, morte e risurrezione di Gesù. L’inizio di questa storia nel vangelo di Marco inizia con un gesto d’amore. È il gesto di una donna anonima sul quale l’annuncio non mancherà. Il vocabolario e la simile struttura narrativa ci hanno fatto pensare all’unzione di Betania come tipo di un’unzione regale dalla quale Gesù risulta il re per eccellenza. Tutti i re unti dell’AT erano solo dei typoi per un re messianico, l’Unto, cioè il Cristo. La discesa dello »Spirito di JHWH« sui re antico testamentari al momento dell’unzione designa il loro carisma come salvatori, vicina a quella del giudice. Questo rito magico, che è stato deformato nel simbolo profetico dell’investitura regale e divina, rispecchia l’autorità nazionale del re.72 Questa »autorità nazionale« verrà affermata al momento della risurrezione di Cristo, proprio perché, dopo la sua risurrezione inizierà a diffondersi la buona novella chiamata in vigore all’inizio del suo ministero (Mc 1, 15). Parte di questo Vangelo sarà anche il gesto di una donna anonima avvenuto a Betania (Mc 14, 9).

Non si era mai sentito parlare nelle unzioni antico testamentarie che avvenivano da parte di una donna, ma le facevano sempre gli altri re, sacerdoti oppure i profeti. Forse è questa la novità portata da Gesù? Attraverso la questione dei poveri (vv. 6-7; cf. Is 61, 1-3) dove Gesù come un giudice porta la soluzione del problema, inserendolo nel contesto sociale, porta al nostro gesto un significato diverso. Non si tratta di un’unzione né profetica né sacerdotale, ma di un’opera buona in vista della sua sepoltura. Il narratore come anche Gesù non insistono su una tipologia o su un’interpretazione diversa da quella che avverrà qualche istante dopo l’unzione stessa. Quello che importa è ungere il corpo di Gesù proprio prima che fosse troppo tardi perché, dopo non ci sarà più il tempo opportuno di rendere onore a Gesù profeta, re (e sommo sacerdote) risorto dai morti.

Vorremmo concludere che nella pericope analizzata, vista nel suo contesto e nella sua problematica, si tratterebbe di una possibile interpretazione dell’unzione a Betania come un’unzione funebre. L’unzione funebre come tale assume il valore sociale di un’opera buona della quale nessuno si dovrebbe scandalizzare, perché è un semplice, ma profondo atto di amore verso l’Amore stessa.

POMAZANJE U BETANIJI (Mk 14, 3–9) EGEZEGETSKO-TIPOLOŠKI PRISTUP

73Anđelo Maly*

Ključne riječi: Evanđelje po Marku; pomazanje; Betanija; Posljednja večera; narativna analiza; tipologija; povijest tumačenja.

Notes

[1] * Prof. Anđelo Maly, Docente, Facolta di Teologia Cattolica, Universita di Zagabria, Vlaška ulica 38, 10000 Zagabria, Repubblica di Croazia, andelo.maly@kbf.unizg.hr

Per una spiegazione della festa vedi P. DSCHULNIGG, Das Markusevangelium, Stuttgart, 2007, 355-356.

[2] Cfr. J. R. DONAHUE, D. J. HARRINGTON, Il Vangelo di Marco, Torino, 2006, 346. Vedi anche S. KLJAJIĆ, Plemenita gesta nepoznate žene. Semantička analiza i interpretacija scene pomazanja u Betaniji (Mk 14, 3-9), u: Bogoslovska smotra 88(2018)4, 965-986, 981, nota 47.

[3] 14, 1 καὶ ἐζήτουν οἱ ἀρχιερεῖς καὶ οἱ γραμματεῖς πῶς αὐτὸν ἐν δόλῳ κρατήσαντες

14, 10-11 Καὶ Ἰούδας Ἰσκαριὼθ ὁ εἷς τῶν δώδεκα … ἐζήτει πῶς αὐτὸν εὐκαίρως παραδοῖ.

Sulla questione della composizione del Vangelo di Marco in generale rimandiamo ad alcuni commentari: C. S. MANN, Mark. A New Translation with Introduction and Commentary, Garden City (NY), 1986; V. TAYLOR, Marco. Commento al vangelo messianico, Assisi, 21977; J. RADERMAKERS, Il Vangelo di Gesù secondo Marco, Bologna, 1975; E. SCHWEIZER, Il Vangelo secondo Marco, Brescia, 1971; B. STANDAERT, L’évangile selon Marc. Commentaire, Pendé, 32010.

[4] Cfr. F. PÉREZ HERRERO, Pasión de Jesús según san Marcos. Del texto a la vida, Burgos, 2001, 60.

[5] Cfr. S. C. BARTON, Mark as Narrative. The Story of Anointing Woman (Mk 14:3-9), u: The Expository Time, 102(1991)8, 230-234, 231.

[6] Cfr. ibid., 231.

[7] Queste tappe sono riprese per grandi tratti dallo studio su una griglia di lettura in J. N. ALETTI, Il racconto come teologia. Studio narrativo del terzo vangelo e del libro degli Atti degli apostoli, Bologna, 2009, 225-230. Cfr. D. RHOADS, J. DEWEY, D. MICHIE, Mark as Story. An Introduction to the Narrative of a Gospel, Minneapolis, 1999, 151-159.

[8] Contrasta molto con le regole linguistiche greche, soprattutto quelle del greco del NT. Cfr. F. BLASS, A. DEBRUNNER, Grammatica del greco del Nuovo Testamento, Brescia, 21997, §431; H. W. SMITH, Greek Grammar, Cambridge, 1984, 459-461 [2070.-2075.].

[9] Cfr. J. GNILKA, Marco, Assisi, 1987, 747.

[10] Cfr. M. FANDER, Die Stellung der Frau im Markusevangelium. Unter besonderer Berücksichtigung kultur- und religionsgeschichtlicher Hintergründe, Altenberge, 1989, 122.

[11] Dschulnigg propone la struttura tripartita:

v. 3 esposizione

vv.4-5 azione negativa dei commensali che fa da cornice del discorso diretto (4b.5a)

vv.6-9 ripresa del discorso diretto (6a) e la risposta di Gesù suddivisa in quattro parti (6b.7.8.9)

Cfr. P. DSCHULNIGG, Das Markusevangelium, 353.

[12] Pérez Herrero parla del

a) Azione (v. 3);

b) Indignazione (vv. 4-5);

c) Giustificazione (vv. 6-9). Cfr. F. PÉREZ HERRERO, Pasión de Jesús según san Marcos, 60.

[13] Cfr. R. PESCH, Il vangelo di Marco, II, Brescia, 1982, 490.

[14] Le traduzioni del testo greco sono dell’autore.

[15] Cfr. ibid., 492.

[16] Cfr. J. R. DONAHUE, D. J. HARRINGTON, Il Vangelo di Marco, 342.

[17] Cfr. J. GNILKA, Marco, 747.

[18] »Il Rotolo del Tempio 46,17-18 di Qumran indica che i lebbrosi vivevano ad est di Gerusalemme« (J. R. DONAHUE, D. J. HARRINGTON, Il Vangelo di Marco, 343).

[19] Cfr. S. C. BARTON, Mark as Narrative, 232.

[20] Cfr. ibid., 233.

[21] Con articolo solo in Mc 14,3. Vedi F. BLASS, A. DEBRUNNER, Grammatica del greco del Nuovo Testamento, §491.

[22] Cfr. J. R. DONAHUE, D. J. HARRINGTON, Il Vangelo di Marco, 343.

[23] Cfr. F. PÉREZ HERRERO, Pasión de Jesús según san Marcos, 63; J. R. DONAHUE, D. J. HARRINGTON, Il Vangelo di Marco, 343.

[24] Nell’AT si ungeva la testa dei sacerdoti (es. Es 29, 4-7) e dei re (2 Re 9, 3-6; 1 Sam 10, 1).

[25] L’ambientazione durante un pasto preceduto e seguito da iniziative dei nemici di Gesù, fa pensare al Sal 23,5; 141,5.

[26] Cfr. J. GNILKA, Marco, 748.

[27] V. F. PÉREZ HERRERO, Pasión de Jesús según san Marcos, 64, nota 17. La questione dell’unzione sarà ripresa più tardi nella nostra esposizione.

[28] Con il termine ἐμβριμάομαι si descrivono gli sbuffi dei cavalli (in Mc 1,43 da parte di Gesù nei confronti di un lebbroso).

[29] Cfr. V. F. PÉREZ HERRERO, Pasión de Jesús según san Marcos, 64.

[30] Cfr. R. PESCH, Il vangelo di Marco, II, 494.

[31] Cfr. J. R. DONAHUE, D. J. HARRINGTON, Il Vangelo di Marco, 344; J. GNILKA, Marco, 749.

[32] Vedi J. R. DONAHUE, D. J. HARRINGTON, Il Vangelo di Marco, 344; J. GNILKA, Marco, 747; V. F. PÉREZ HERRERO, Pasión de Jesús según san Marcos, 65.

[33] Cfr. R. PESCH, Il vangelo di Marco, II, 494.

[34] καλός (bello e onorevole) spesso in binomio con ἀγαθός per descrivere un ideale di comportamento nobile e grazioso.

[35] Cfr. J. GNILKA, Marco, 749.

[36] R. PESCH, Il vangelo di Marco, II, 495.

[37] Cfr. Mc 8, 31; 9, 31; 10, 33-34.

[38] Cfr. S. C. BARTON, Mark as Narrative, 233; S. KLJAJIĆ, Plemenita gesta nepoznate žene, 983.

[39] Cfr. J. R. DONAHUE, D. J. HARRINGTON, Il Vangelo di Marco, 344.

[40] Cfr. R. PESCH, Il vangelo di Marco, II, 496.

[41] »Profetisches Wort und profetische Tat sind hier identisch«; M. FANDER, Die Stellung der Frau im Markusevangelium, 124; cfr. P. DSCHULNIGG, Das Markusevangelium, 358.

[42] J. R. DONAHUE, D. J. HARRINGTON, Il Vangelo di Marco, 344.

[43] Cfr. ibid., 344.

[44] R. PESCH, Il vangelo di Marco, II, 496.

[45] Cfr. ibid., 497.

[46] Cfr. ibid., 497; J. R. DONAHUE, D. J. HARRINGTON, Il Vangelo di Marco, 345.

[47] J. GNILKA, Marco, 751.

[48] Secondo l’opinione di F. J. Matera, il tema della regalità di Gesù è stato anticipato nei capitoli precedenti di Mc 11-12. Secondo lui questi capitoli preparano il lettore per la teologia regale nel cap. 15. Vedi F. J. MOLONEY, The Gospel of Mark. A Commentary, Massachusetts, 2002., 281, nota 22.

[49] Cf. J. R. DONAHUE, D. J. HARRINGTON, Il Vangelo di Marco, 346.

[50] Cfr. A. BOUDART, Unzione, u: AA. VV., Dizionario enciclopedico della Bibbia, Roma, 1995., 1311-1313.

[51] Si potrebbe pensare che il versare dell’olio sulla barba di Aronne, che non è un’unzione come tale (Sal 133, 2) sottolineerebbe la generosità del gesto, mentre quella dei piedi (Lc 7, 38) il suo carattere straordinario.

[52] A. BOUDART, Unzione, 1312.

[53] Cfr. Z. WEISMAN, Anointing as a Motif in the Making of the Charismatic King, u: Biblica 57(1976)3, 378-398, 381.

[54] Cfr. M. FANDER, Die Stellung der Frau im Markusevangelium, 123.

[55] Cfr. ibid., 129.

[56] 1 Re 1, 39.

[57] Cfr. M. NOBILE, 1–2Re, Milano, 2010, 344.

[58] Es 29,7; Lev 8,10.

[59] Cfr. M. FANDER, Die Stellung der Frau im Markusevangelium, 123.

[60] Cfr. ibid., 123.

[61] Cfr. ibid., 125.

[62] Cfr. M. NOBILE, 1–2Re, 228-229.

[63] Cfr. ibid., 276.

[64] J. GNILKA, Marco, 753.

[65] Cfr. F. PÉREZ HERRERO, Pasión de Jesús según san Marcos, 80-81.

[66] Cfr. M. FANDER, Die Stellung der Frau im Markusevangelium, 131-132.

[67] Cfr. S. C. BARTON, Mark as Narrative, 232.

[68] Sebbene Fander lo chiama »Geschlechterwechsel« (cambio dei sessi), che a noi non sembrava tanto adatto. Per questo abbiamo scelto il termine »cambio dei ruoli«.

[69] Cfr. Y. SIMOENS, L’onction eucharistique et la Cène nuptiale selon Marc 14,1-21, u : P. BOVATI, R. MEYNET (cur.), Ouvrir les Écritures. Mélanges offerts à Paul Beauchamp à l’occasion de ses soixante-dix ans, Paris, 1995., 245-266, 258-266.

[70] Cf. J. R. DONAHUE, D. J. HARRINGTON, Il Vangelo di Marco, 347.

[71] Cfr. S. C. BARTON, Mark as Narrative, 233.

[72] Cfr. Z. WEISMAN, Anointing as a Motif in the Making of the Charismatic King, 398.

[73] * Doc. dr. sc. Anđelo Maly, Katolički bogoslovni fakultet Sveučilišta u Zagrebu, Vlaška ulica 38, 10 000 Zagreb, Hrvatska, andelo.maly@kbf.unizg.hr

References

 

Maly* Sažetak: U Markovu evanđelju izvještaj o pomazanju koje obavlja anonimna žena izražava svojevrsnu jezgru koja služi kao podloga u tumačenju cjelokupne poruke Markova evanđelja. Pomazanje u Betaniji, ispripovijedano uz izvještaj o Posljednjoj večeri, probudilo je zanimanje nekih egzegeta upravo zbog svoga položaja. U ovome članku autor pokušava vidjeti razloge i egzegetska objašnjenja spomenute problematike. Markov izvještaj o pomazanju u Betaniji (14, 3–9) poprima na važnosti zbog svoga položaja u mikronarativu i makronarativu. Jasno je da je glavna radnja naracije gesta pomazanja. Autor stavlja poseban naglasak na tu gestu u narativu Markova izvještaja te je uspoređuje sa starozavjetnim tekstovima uz povijest tumačenja radi mogućega tipološkoga čitanja i tumačenja. U svome istraživanju, zahvaljujući egzegetskoj i tipološkoj analizi, autor pokušava pokazati postoji li u tekstu Mk 14, 3–9 nešto više od obične geste ljubavi nepoznate žene ili ne postoji.

 

14, 1 καὶ ἐζήτουν οἱ ἀρχιερεῖς καὶ οἱ γραμματεῖς πῶς αὐτὸν ἐν δόλῳ κρατήσαντες 14, 10-11 Καὶ Ἰούδας Ἰσκαριὼθ ὁ εἷς τῶν δώδεκα … ἐζήτει πῶς αὐτὸν εὐκαίρως παραδοῖ.

 

Sulla questione della composizione del Vangelo di Marco in generale rimandiamo ad alcuni commentari:. C. S. MANN, Mark. A New Translation with Introduction and Commentary, Garden City (NY),. 1986 V. TAYLOR, Marco. Commento al vangelo messianico, Assisi, ²1977; J. RADERMAKERS, Il Vangelo di Gesù secondo Marco,. Bologna,: 1975E. SCHWEIZER, Il Vangelo secondo Marco,; Brescia,: 1971B. STANDAERT, L’évangile selon Marc. Commentaire, Pendé, ³2010.

 

Cfr. p. 231

 

Cfr. S. C. BARTON, Mark as Narrative, [20] Cfr. ibid., 233.

 

R. PESCH, Il vangelo di Marco,. 495[37]. Cfr. Mc. 83193110:33–34

 

J. R. DONAHUE, D. J. HARRINGTON, Il Vangelo di Marco. 344:[43] Cfr. ibid., 344.

 

J. GNILKA, Marco, p. 751


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