Original scientific paper
IL CICLO DEI MESI DEL PORTALE DI TROGIR
Joško Belamarić
; Regionalni zavod za zaštitu spomenika kulture, Split
Abstract
Il ciclo incompleto della rappresentazione dei mesi sul portale principale della cattedrale a Trogir, ha attirato l’attenzione di molti storici dell’arte, in particolare riguardo al rapporto con il portale centrale della basilica di S. Marco a Venezia, per il quale l’opera datata e firmata di Radovan sarebbe l’unico punto di rifermento sicuro per stabilare la cronologia inziale di alcune sue parti. Con questo il problema della possibilità di ricostruire la concezione originaria del portale di Radovan, in senso architettonico ed iconografico, non ha fatto alcun passo avanti.
L’autore dell’articolo spiega il motivo per cui la serie traurina dei mesi, sulla parte frontale dei pilastri interni, è rimasta incompiuta, quale doveva essere l’ordine compositivo del ciclo, in quale rapporto era dal punto di vista del contenuto con il complesso del portale, e la ragione dei cambiamenti nella concezione generale del programma iconografico dopo la partenza di Radovan, al tempo degli ultimi lavori al portale.
Innanzitutto le due rappresentazioni di un seguace di Radovan sulla parte inferiore del pilastro sinistro si interpretano come un’unica rappresentazione del mese di febbraio. La scena della fanciulla che pone il Pesce nella pentola e del messaggero che annuncia il nome del mese rappresenta i significanti (l’abituale segno zodiacale e il cartellino), mentre il viticoltore nella zona sottostante rapprewsenta lättività caratteristica per la raffigurazione del mese di febbraio, particolarmente in numerosi cicli italiani. Si corregge cosi l’affermazione, finora ripetuta più volte nella letteratura sull’argomento, che sul portale Marzo sia rappresentato due volte sia a causa della mancate comprensione dei due differenti modelli, sia della incomprensione del significato del marzo di Radovan.
Nella serie dei mesi traurini ha richiamato maggiormente l’attenzione il mese di Marzo che è sempre stato confrontato con la rappresentazione analoga sul portale principale della basilica di S. Marco, solitamente considerata il modello diretto di cui si servi Radovan. Nell’analisi dettegliata di entrambi i rilievi l’autore avverte che quello veneziano in base all’armatura nacque dall’imitazione diretta dell’»icona« marmorea di S. Giorgio, che si trova a due metri di distanza dall’arco dei mesi sul portale maggiore della basilica di S. Marco. Nel rapporto di Marzo e del genio dei venti egli vede una coppia antitetica, ma non ne individua il modello, com’ è stato proposto di recente, nella contrapposizione simbolica delle figure rappresentate nel noto salterio Chludov di Mosca (dove, secondo il parere dell’autore potrebbe trattarsi della rappresentazione del malocchio), ma in un significato moralizzante sul tipo della rapprezentazione della Psicomachia di Prudenzio – della guerra dei Vizi e delle Virtù. Oltre alla serie di differenze formali tra la rappresentazione traurina e veneziana, egli sottolinea in special modo le differenze tra i due »cornatori«. Quello di S. Marco è in posizione inginocchiata, piegata e del tutto passiva in confronto a quello traurino. La sua testa non è irsuta. Ma, la differenza più importante è nel fatto finora non notato che a Trogir non è rappresentato un fanciullo nudo, come si è sempre ripetuto, ma un vecchio – uno gnomo itifallico. Radovan insiste in maniera assolutamente veristica nella descrizione delle pieghe di carne sul suo collo e sul ventre, dello scroto senile e del membro, successivamente tolto, in erezione. Nella serie di suggestione con cui si chiarsce formalmente e iconograficamente l’origine di questa figura, è fondamentale la conclusione che il modello di Radovan doveva troversi molto probabilmente all’interno di qualche manoscritto miniato. Radovan ha rappresentato infatti anche la »fiammella« di vento che esce dal corno, in cui l’autore non vede solo ancora una prova del carattere diminutivo della scultura del maestro e della sua inclinazione per i dettagli pittorici. Una simile modellazione del vento, del soffio, dell’aria o del suono è innanzitutto caratteristica delle miniature sui manoscritti medievali e dei mosaici, e solo eccezionalmente della scultura. Di qui la convinzione che Radovan si fosse servito di un modello pittorico, andato perso, in ogni modo differente da quello utilizzato dal suo collega sull’Arco dei mesi a Venezia. La conoscenza di questo modello chiarirebbe gli elementi anticheggianti di tutta la scena – di Marte e ugualmente della figura antitetica soto di lui.
Il »paesaggio« rappresentato sullo sfondo dei cicli veneziano e traurino parla ugulmente di modelli differenti. Mentre Radovan compone per ogni mese una »scenografia« specifica, a Venezia tutte le scene sono collegate da un viticcio continuo. Collocando le rappresentazioni in uno stesso »ambiente« il maestro veneziano ne diminuisce la naturalezza, aumentandone invece l’effetto decorativo. La macchia selvatica del marzo traurino ne è il logico attributo e non un semplice fondo decorativo com’è il caso di Venezia.
In tutto ciò, tuttavia, la differenza più importante è la posizione che queste rappresentazioni occupano all’interno dell’intero ciclo. L’autore dimostra che la rappresentazione di Marzo di Radovan, diversamente da quella veneziana, era il putno iniziale di tutto il calendario che originariamente era stato pensato in una sequenza che doveva essere estesa su entrambi i pilastri su ciascun lato del portale, in base alla suddivisione in mesi »caldi« e »freddi«. Si analizzano dettagliatamente le analogie e le ragioni iconografiche di tale disposizione che dava risalto alla scena dell’Annunciazione nella zona superiore del portale. Il dotto vescovo Treguan, »ex urbe Floris« come egli stesso orgogliosamente sottolilnea nell’iscrizione dedicatoria sotto la lunetta del portale, poteva avere anche una sua ragione particolare di mettere in rilievo la rappresentazione del guerriero Marte al posto d’onore del ciclo di Traù, considedrando che la Firenze pagana, ma anche quella medievale lo ritenevano il loro patrono.
L’autore si sofferma in modo particolare sulla questione del possibile significato iconografico della rappresentazione dei mesi all’interno del programma di tutto il portale, richiamendosi alle tesi finora note sul loro rapporto con gli atlanti che li sorreggono, con i pilastri tondi accanto al vano del portale, e in particolare con la zona superiore di quest’ultimo. La ripartizione della zona superiore e inferiore del portale mostra l’antitesi tra la Redenzione e il Peccato. Da una parte vi sono l’Eternità e la Grazia, dall’altra il Tempo e la Natura. Si tratta, in breve, del parallelo e dell’antitesi tra l’uomo e Cristo. Sembra che Radovan abbia trovato il modo di dare forma con un vocabolario iconografico molto semplice a un programma notevolmente complesso. Il significato teologico della zona superiore è fondato su un carattere sacramentale, propriamente sull’enfasi del significato eucaristico della nascita di Cristo. Parlando delle rappresentazioni dei mesi nel loro asserito didattico – secolare, oppure riducendole a pure forme di questa o quella origine, noi preferiremmo pensarle come fini a se stesse, e non al motivo per cui furono create.
Com’è già stabilito in ambito letterario il tempo cristiano inizia con Adamo e termina con il Giudizio universale. Il tempo lineare (non più circolare) è suddiviso con l’Incarnazione di Cristo in tempo prima e dopo la nascita. La tradizionale concezione augustiniana non ha dato al Tempo una buona reputazione. Il Tempo rappresentava la fragilità del mondo, delle cose temporali e di tutte le occupazioni. Separato da una linea netta dall’Eternità il Tempo apparteneva a un livello inferiore, in cui tutto era basato sulla precarietà del momento. Il Tempo, sono solo le ore che separano la creazione del mondo dalla sua fine. Gli aggettivi temporale e secolare esprimono la caducità morale del tempo, la brevità della vita terrena e l’imminenza della sua fine.
In questo articolo si cerca di spiegare anche la »svolta« contenutistica in rapporto al programma iconografico originario, al tempo della conclusione dei lavori e della collocazione del portale, avvenuta secondo l’autore negli anni sessanta del XIII secolo. La scena della Crocifissione con i due donatori inginocchiati ai piedi della croce, al verticale del secondo arco sopra la lunetta, rivela che il programma originario di Radovan è stato in certo qual modo privatizzato, ed ha assunto un carattera penitenziale nello spirito della nuova religiosità gotica.
L’autore in particolare si sofferma sulle statue di Adamo ed Eva e sulle raffigurazioni degli apostoli sui pilastri esterni della zona inferiore, in cui alcuni studiosi hanno visto parti di un portale precedente quello di Radovan. In questo articolo si dimostra che Eva e gli apostoli accanto e lei, e Adamo e gli apostoli accanto a lui sono opera di due maestri di cui almeno il secondo, giudicando dai grafismi metallici dei suoi drappeggi nei quali si rifletteva l’influsso della lumeggiatura, poteva occuparsi di pittura. Le differenze di collocazione di queste due serie di tre apostoli ciascuna (chew hanno sostituito le rimanenti rappresentazioni dei mesi che in base alla concezione originaria avrebbero dovuto trovarsi al loro posto) sono attribuite dall’autore a motivi iconografici. Le figure sul pilastro sinistro sono di dimensioni più piccole per lasciare libero lo spezio destinato ai loro attributi: i minuti tabernacoli sopra le teste di S. Pietro e di S. Giovanni (?), e l’aureola inusualmente grande con la foglia di fico del tutto inconsueta sopra S. Bartolo. L’autore sottolinea la stretta vicinanza e il legame simbolico tra la foglia di fico di Eva e di S. Bartolo. Secondo la concezione mediavale i peccati corporali comprendono tutti gli altri. L’uomo ha peccato tramite il corpo, e tramite il corpo può redimersi. Dopo l’analisi dettagliata dei possibli riferimenti all’esegesi medievale chasica del Peccato originale, l’autore conclude che in questo esemplare traurino una completa concezione teologica è espressa in una forma iconografica semplice, un tipico exemplum gotico. L’uomo ha perso il Paradiso per la sensualità di Eva. Scrificando la carnalità può nuovamente ottenerlo. Eva ha sbagliato con la sua pelle ed ha perso il Paradiso, mentre S. Bartolo è l’apostolo che con la sua pelle lo ha letteralmente ottenuto. Di qui nacque nel maestro traurino l’impegno di narrare nel modo più chiaro possibile questa antitesi. La foglia del giardino dell’Eden con cui Eva copri la sua vergogna uscendo dal Paradiso, è impressa sull’aureola di Bartolo. Nel momento del peccato la miseria del corpo umano nei confronti dello spirito è diventata evidente (Gen. 3, 21) e Dio lo avvolge con la famosa »tunica di pelle«. La »tunica di pelle« di cui si è spogliato S. Bartolo (in ognimodo una delle prime rappresentazioni di tal genere nell’arte medievale) è simbolo del trionfo della sua anima.
Lo stesso maestro eseguì anche il noto rilievo della lavanda dei piedi, intorno al quale nella lettaratura sono sorte parecchie discussioni. Tutti gli interpreti hanno notato il fatto che Cristo non lava i piedi a Pietro, ma ad un apostolo che non ha la barba. In verità, bisogna dire che anche tutti gli altri apostoli sono sbarbati, e questo forse per richiamare l’attenzione sull’unico personaggio barbuto: S. Pietro. Mentre tutti gli apostoli sono concentrati sull’azione di Cristo, Pietro si è girato con un gesto violento verso l’apostolo è praticamente l’unica figura del portale a cui sia stata completamente staccata la testa, rende possibile avanzare l’ipotesi che si tratti di Giuda. Ci sembra, infatti, che i gesti degli apostoli all’estrema destra, e l’assenza del motivo dell’Ultima Cena da tutto il ciclo sul secondo arco del portale, suggeriscano la possibilità che si tratti della rappresentazione unica di due avvenimenti che di solito sono presentati in successione e vengono spesso collegati tra loro. A questa spiegazione potrebbe opporsi il dato di fatto che nella lavanda dei piedi di Trogir vi sono solo undici apostoli, che suggerisce una rappresentazione da cui Giuda era già stato escluso. In questo modo, infatti, vengono interpretati una serie di modelli iconografici occidentali. L’ipotesi che si propone potrebbe essere sostenuta anche da un’altra supposizione, e cioè che il maestro a un consueto modello occidentale con udnici apostoli interecciò una narazione complementare, sempre con un forte accento sul Peccato e sulla Redenzione (come è stato in particolare notato nell’ analisi della zona inferiore del portale), trascurando di completare numericamente il modello.
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Hrčak ID:
155614
URI
Publication date:
13.12.1990.
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