Skip to the main content

Preliminary communication

https://doi.org/10.34075/cs.58.1s.17

Iconografia claustrale e spazi liturgici: il caso di Santa Maria di Zadar

Francesca Stroppa orcid id orcid.org/0000-0003-4669-2754 ; Catholic University of the Sacred Heart, Milan, Italy


Full text: italian pdf 7.436 Kb

page 391-408

downloads: 192

cite

Download JATS file


Abstract

Gli ambienti della vita claustrale sono stati adattati nel corso dei secoli alle esigenze primarie della vita comunitaria, ai suoi ritmi e alle sue funzioni. Lo stesso vale per gli ambienti liturgici, modellati in base alle esigenze del culto e della preghiera comune dei singoli monaci; immagini, altari e arredi non solo abbellivano artisticamente gli spazi di culto, ma erano soprattutto funzionali all'incontro dei monaci con Dio. Tuttavia, alcuni elementi e devozioni, come l'atrio, il coro, le cappelle, o il culto della croce e della memoria dei defunti, assunsero un valore simbolico e un'importanza rituale tali da modificare la percezione e l'articolazione degli spazi stessi. Seguire questo sviluppo, come il caso di Santa Maria di Zara, aiuta a comprendere l'architettura monastica al servizio dell'Opus Dei nell' Europa cristiana, anche dopo il Medioevo.

Keywords

Santa Maria; Zara; monastero; campanile; reliquie

Hrčak ID:

310261

URI

https://hrcak.srce.hr/310261

Publication date:

29.11.2023.

Article data in other languages: english

Visits: 725 *




I locali della vita claustrale si sono articolati nel corso dei secoli per rispondere alle esigenze primarie della vita comunitaria dei monaci e delle monache, dei loro ritmi e delle loro funzioni. Lo stesso vale per gli ambienti liturgici modellati sulla preghiera comune e su quella personale: immagini, altari e arredi non solo impreziosivano dal punto di vista artistico i luoghi della preghiera, ma servivano e favorivano, elevandolo, l’incontro con Dio. In particolare alcuni elementi e devozioni – quali l’atrio, il coro, le cappelle, il culto della croce o dei santi patroni e la memoria dei defunti – hanno assunto un valore simbolico e una pregnanza rituale tali da modificare la percezione e l’articolazione degli ambienti stessi. Seguirne l’evoluzione diventa una forma per comprendere l’architettura monastica1 a servizio dell’ opus Dei nell’Europa cristiana, anche oltre il medioevo.

Gli studi storico-artistici e quelli archeologici, più volte e in genere in modo settoriale, si sono addentrati nell’analisi degli ambienti monastici, tuttavia l’esiguità dei reperti – in particolare di quelli altomedievali –, i cambiamenti delle strutture per le esigenze delle comunità e i restauri degli ultimi due secoli hanno occultato, a volte obliterando, le trasformazioni delle strutture, rendendo difficile la decifrazione delle articolazioni spaziali nel tempo e nello spazio. La complessa ricostruzione delle evoluzioni architettoniche e la comprensione dei locali per il culto o della vita quotidiana sono più accessibili unendo le varie componenti disciplinari – documentarie, liturgiche, devozionali, paleografiche, storico-artistiche, archeologiche –, inserendole nel contesto storico e collegandole ad altri esempi europei. Il convegno internazionale Living and Dying in the Cloister2 , tenutosi a Zadar a fine maggio 2016, a cura di Gabriele Archetti e Miljenko Jurkovic, nell’ambito dei periodici incontri dell’Irclama, è stato un esempio ben riuscito, dove discipline complementari si sono incontrate per analizzare, sotto punti di vista differenti, la complessità degli ambienti monastici offrendo alla comunità scientifica una visione più comprensibile ed esauriente della tematica storiografica.

L’occasione, che celebra la ricorrenza dell’arrivo della regola benedettina e dello sviluppo delle sue comunità in terra zaratina più di undici secoli fa, focalizza l’attenzione nuovamente sugli spazi monastici e sull’interessante caso del complesso di Santa Maria3 (fig. 1), fondato nel centro della cittadina, sul lato orientale dell’antico foro romano, nel 1066 da una nobile della famiglia Madijevci, chiamata Čika4. La nuova fondazione del monastero, che si sviluppava sulle basi di un precedente edificio religioso, già menzionato nelle carte dal 920, godette di privilegi e lasciti garantiti dal re croato Peter Krešimir IV (1059-1075). La figlia di Čika, Vekenega, entrò nel monastero intorno al 1072, dopo la morte del marito Dobroslav e, succedendo alla madre Čika, come badessa, chiese aiuto al re Coloman d’Ungheria – che a fine XI secolo aveva conquistato la Croazia – per completare il cenobio che nel frattempo si era ampliato. La tradizione storiografica5 ritiene che la grande torre campanaria sia una delle strutture realizzate dal re Coloman dopo il suo ingresso in città, nell’anno 1105, rifacendosi a quanto commemora l’iscrizione sulla parete esterna del campanile (fig. 2).

image1.jpg

Fig. 1. Zara, monastero di Santa Maria.

image2.jpg

Fig. 2. Zara, monastero di Santa Maria, campanile, iscrizione.

La chiesa a tre navate, ornata da colonne di reimpiego e capitelli altomedievali, si mostra all’interno fregiata da decorazioni a stucco di età barocca e da una facciata lapidea in stile veneziano di prima età moderna, elementi che indicano la lunga vita della fabbrica monastica (fig. 3). La basilica è introdotta da un grande endonartece e attualmente presenta sul fianco della navatella nord-orientale un accesso che conduce a una sala identificata come quella del capitolo (fig. 4). L’ambiente a pianta rettangolare si pone, collegandoli, tra la chiesa e il chiostro, ed è adiacente alla torre campanaria, alla cui base, al piano rialzato, si sviluppa una cappella con affaccio sulla sala capitolare (fig. 5). La particolare connessione tra i due ambienti (campanile - sala capitolare) e la funzione dell’oratorio sopraelevato inserito nel campanile ha destato molta attenzione da parte della storiografia, come il recente intervento di Ana Marinković6, che ritiene il sacello essere la cappella privata del re Coloman, ipotizzando un ingresso indipendente sul sagrato, a cui si accedeva mediante una scala esterna, parallela alla facciata della chiesa.

image3.jpg

Fig. 3. Zara, monastero di Santa Maria, navata centrale, zona presbiteriale.

image4.jpg

Fig. 4. Zara, monastero di Santa Maria, planimetria della chiesa, del campanile e della sala detta del Capitolo. In azzurro l’accesso attuale alla sala; in verde l’ipotesi dell’antico ingresso.

image5.jpg

Fig. 5. Zara, monastero di Santa Maria, sala detta del Capitolo vista dalla cappella sopraelevata.

Le dimensioni, la decorazione pittorica e il luogo, insieme al contesto claustrale femminile benedettino, dove si sviluppa il sacello sopraelevato, tuttavia pongono dubbi sulla fondazione regia del piccolo oratorio, che appare di dimensioni troppo ridotte, poco rappresentativo per la corte reale e inadatto a seguire le funzioni liturgiche che si svolgevano in chiesa, verso cui non vi erano accessi o sbocchi, come invece accadeva ad esempio nel westwerk di Corvey7, il cui avancorpo occidentale della fabbrica era munito di una loggia sulla navata da cui l’imperatore poteva assistere alle cerimonie religiose, o di Essen-Werden8.

Il piccolo sacello zaratino invece si affacciava unicamente, grazie a una porta-finestra, sulla sala del capitolo, parallela alla chiesa, dove non si officiava la messa (fig. 6). Alcuni dettagli dell’oratorio, inoltre, escludono che si tratti di una cappella privata perché, se così fosse, l’esclusività regale sarebbe andata in conflitto, sovrapponendosi con una funzione basilare per la vita quotidiana della comunità monastica. Questo locale era destinato alla scansione del tempo: infatti, sulla volta a crociera sono ancora visibili i fori da quali scendevano le corde delle campane (fig. 7), il compito era assegnato a una delle monache della comunità che doveva spostarsi dal coro, dove sedeva per la liturgia delle ore, alla cappella sopraelevata. Pertanto, era poco verosimile che un’azione fondamentale, quotidiana e reiterata più volte al giorno si potesse eseguire all’interno di una stanza esclusiva riservata al re.

image6.jpg

Fig. 6. Zara, monastero di Santa Maria, sala detta del Capitolo, parete nord adiacente al campanile, particolare della porta-finestra.

image7.jpg

Fig. 7. Zara, monastero di Santa Maria, cappella sopraelevata all’interno del campanile, affresco con Deesis e particolare della volta con fori per le corde delle campane.

Dalle foto storiche, scattate dopo i bombardamenti e durante i restauri, si può osservare che la parete di collegamento tra la sala capitolare e la chiesa non prevedeva l’attuale ingresso (fig. 8); al contrario, accanto alla tomba della badessa Vekenega9, vi erano arcate con finestre da cui poter seguire le funzioni liturgiche, mentre un passaggio agli ambienti monastici non si riscontra ma poteva stare nei pressi dell’area absidale (figg. 4, 9, 10). La chiesa eretta sul foro era aperta alla cittadinanza e pertanto, nei momenti in cui i fedeli erano presenti nella basilica, le monache dovevano riunirsi in uno spazio separato, verosimilmente nella sala adiacente alla navata, che era adibita così a più funzioni, tra cui quella delle riunioni del capitolo e perciò munita di stalli. Gli scranni erano presenti anche nella chiesa, dove le monache si riunivano per la preghiera corale e, quando si chiudevano le porte ai fedeli, potevano usufruire in piena autonomia dell’edificio sacro. Gli stalli erano collocati in modo plausibile nel corpo centrale della chiesa a ridosso del presbiterio e potevano essere muniti di un camminamento che da questa zona conduceva le monache verso gli ambienti di vita quotidiana del chiostro, entrando dalla porta a ridosso dell’abside laterale nord-orientale, a fianco della tomba della badessa Vekenega (fig. 11). Attualmente la chiesa è dotata di grate sia nella sala del capitolo, sia nell’area dei matronei a cui si accede dal piano superiore.

image8.jpg

Fig. 8. Zara, monastero di Santa Maria, sala detta del Capitolo, dopo i bombardamenti.

image9.jpg

Fig. 9. Zara, monastero di Santa Maria, sala detta del Capitolo, dopo i bombardamenti.

image10.jpg

Fig. 10. Zara, monastero di Santa Maria, sala detta del Capitolo, dopo i bombardamenti.

image11.jpg

Fig. 11. Zara, monastero di Santa Maria, sala detta del Capitolo, tomba decorata con una bifora.

La funzione della cappella sopraelevata, come quella della sala capitolare, era differenziata: rappresentava lo spazio riservato alla monaca incaricata di dare il segnale della preghiera; impreziosiva la sala capitolare di un sacello sacro, quando in basilica erano presenti i fedeli; conservava importanti reliquie presenti nel monastero all’interno di preziosi contenitori per poi esporli dalla porta-finestra verso la sala; costituiva l’uso devozionale per la monaca che doveva scandire il tempo. Per le sue peculiarità il piccolo oratorio era arricchito di affreschi, di cui rimangono alcuni brandelli, che raffigurano la Deesis10 distinta da paradigmi eterogenei (fig. 7). Si nota infatti l’unione di un modello occidentale, Cristo in mandorla attorniato dal tetramorfo, a uno schema orientale l’aggiunta ai lati della scena della Madonna e di san Giovanni. Il tema iconografico, molto diffuso in età medievale, rappresenta la supplica nelle scene del Giudizio universale, in cui la Vergine e Giovanni Battista intercedono per il genere umano: il soggetto, che vede anche l’Annunciazione con Maria e l’arcangelo Gabriele e che era arricchito da altre sequenze narrative sulle pareti e sulle volte non più distinguibili, sembra enfatizzare il tema della salvezza dell’uomo grazie all’incarnazione di Cristo, all’intercessione della Vergine e dei santi e alle preghiere della comunità benedettina.

La grande apertura del piccolo oratorio sulla cappella che ha le caratteristiche di una porta-finestra aveva la funzione espositiva e di affaccio verso la comunità raccolta in preghiera, alcune tracce nella parete indicano, seppur molto rimaneggiate dai restauri, la presenza di una sorta di balaustra protettiva. La monumentalizzazione del passaggio suggerisce la rilevanza dell’azione liturgica, ad esempio, dell’ostensione di reliquiari, che rafforzavano il legame tra uomo e Dio, ma soprattutto l’esempio a cui riferirsi, il modello da seguire per intraprendere il cammino verso la salvezza. In particolare, è documentata nel cenobio la presenza di un antico e copioso tesoro11 tra i cui pezzi figura il reliquiario con la testa di san Gregorio Magno12, decorato da una Deesis recante l’Annunciazione, l’Incontro tra Gioacchino e Anna e una trilogia sotto arcate, dove si inserisce san Gregorio tra Crisostomo e Anastasia, patroni della città di Zadar.

Simili casi e analoghe strutture si ritrovano nei cantieri medievali europei, anche se le trasformazioni, il degrado del tempo e i restauri ne velano le tracce. L’utilizzo di cappelle sopraelevate all’interno di torri campanarie è frequente e si accompagna al posizionamento del campanile in facciata o nell’area occidentale di specifiche fabbriche, come nel caso zaratino. Non si tratta di un vero westwerk che si riscontra nelle chiese carolinge di area germanica e che può essere adibito ad un privilegiato spazio regale, ma all’enfatizzazione dell’area dirimpetto alla zona absidale funzionale all’esposizione, all’ostensione di reliquie importanti nella chiesa e adatta a percorsi processionali e devozionali. Non vi è quasi mai uno schema compositivo fisso ma, a seconda delle esigenze della comunità e degli spazi, questi ambienti liturgici sono adattati e pertanto la loro individuazione, cambiando caso per caso, è più complessa e necessita di uno studio interdisciplinare, poiché le tracce diventano via via più labili.

A questo proposito in ambito lombardo, in particolare bresciano, si riscontrano casi paralleli e cronologicamente vicini. Il primo è quello del monastero benedettino femminile di Santa Giulia di Brescia13, che presenta le tracce archeologiche di una cappella sopraelevata, dedicata a Santa Maria de Hierusalem14 , databile al X secolo, dove erano conservate le reliquie della Passione di Cristo15, come ricordano le fonti, e che si posizionava tra l’area aperta ai fedeli – che era anche la zona cimiteriale del cenobio, una sorta di Galilea16 – e quella protetta della clausura (fig. 12). La cappella era posizionata in asse e contrapposta all’altare maggiore, sotto cui si conservavano nella cripta, entro tre arche, le reliquie della santa dedicataria, Giulia17, martire crocefissa come Cristo, e di altri otto corpi, tra cui Fede, Speranza, Carità, Ippolito, Giustino, Pimeneo, e due Santi Innocenti18. Tra l’oratorio sopraelevato e il presbiterio si sviluppava il coro delle monache nella navata maggiore, il cui punto di vista centrale permetteva di vedere le reliquie da ambo i lati.

image12.jpg

Fig. 12. Brescia, monastero di San Salvatore-Santa Giulia, ora museo cittadino. A sinistra: visione del complesso dall’alto. A destra: ricostruzione della chiesa con cappella sopraelevata (in arancione).

Detto schema di cappella sopraelevata19, quando per esigenze monastiche viene abbattuto, si ripete nel nuovo campanile di fine XII secolo che viene spostato lateralmente, verso sud, ma che presenta ugualmente una cappella interna sopraelevata: essa era utilizzata dalla sagrestana che aveva il compito di «provvedere al decoro dei paramenti e dei libri liturgici, all’arredo degli altari e alla cura dei reliquiari», posti in sagrestia, come pure di avvertire con il suono delle campane «le consorelle dell’inizio delle funzioni religiose durante la giornata, della riunione del capitolo o della fine del riposo pomeridiano»20, come ricorda Archetti. Per non disturbare le preghiere delle monache in coro, la sagrestana assisteva da una finestrella, protetta da una balaustra, posta a metà navata, che era collegata direttamente alla sagrestia al pian terreno e al campanile a cui accedeva attraverso il braccio settentrionale del chiostro centrale, permettendole di entrare, al primo piano, all’interno dell’adiacente campanile (fig. 13). La torre campanaria, a questo livello, era munita di un vano entro cui scendevano le corde delle campane e di un tabernacolo davanti al quale la monaca poteva raccogliersi in preghiera.

image13.jpg

Fig. 13. Brescia, basilica di San Salvatore-Santa Giulia. In alto a sinistra: navata centrale verso l’abside. In alto a destra: navata centrale verso la controfacciata. In basso a sinistra: finestra da cui si affacciava la monaca sagrestana.

Alla fine dell’XI secolo il clichè adottato nel cenobio giuliano è utilizzato in città e in diocesi, partendo dalla cattedrale impreziosita da un campanile, ora abbattuto, posto in facciata, al cui interno, nel primo piano, viene realizzato un oratorio che conservava il tesoro delle Sante Croci della cattedrale21 (fig. 14). Lo schema compositivo si diffonde nel resto della diocesi e si riscontra nel potenziamento della zona occidentale di numerose pievi bresciane, tra cui quella di Maderno22, di Montichiari23 o di San Siro a Cemmo24, come pure di Sant’Andrea a Iseo25, dove è ben conservata. La matrice edificata sul lago omonimo, dedicata all’apostolo pescatore, presenta una torre campanaria al centro della facciata al cui primo piano, in asse con l’altare maggiore, si sviluppa una cappella sopraelevata con finestrelle laterali per l’esposizione delle reliquie del proto-vescovo Vigilio che venivano spostate in determinati momenti liturgici dell’anno dalla cripta all’oratorio occidentale della torre e qui collocate in una nicchia appositamente realizzata.

image14.jpg

Fig. 14. Brescia, cattedrale di Santa Maria, detta la Rotonda, con il campanile di facciata vicino alla chiesa di San Pietro de Dom e al Palazzo del Broletto (Brescia, Archivio di Stato, Archivio Storico Civico, ms C.I.458, Estimo della città, 1588).

La salvezza dell’anima, la preghiera, l’esempio dei martiri, dei santi patroni e della Vergine, come pure il contatto salvifico con le loro reliquie, la devozione alla croce attraverso la quale Cristo è morto per salvare l’umanità, vengono ricordati non solo nelle parole delle Sacre Scritture e nella liturgia, ma anche attraverso le forme artistiche, la gerarchia degli spazi e dei livelli di altezza in un continuo dialogo tra l’uomo e Dio, tra cielo e terra o tra micro e macrocosmo come amavano immaginare i medievali. L’esempio della cappella sopraelevata di Zadar, dunque, si inserisce in una prassi edilizia funzionale alla liturgia e ai tempi della preghiera monastica, enfatizzando il patrimonio reliquiario di una comunità quale memoria della fede.

Notes

[1] Sulla questione si profila un lunghissimo e articolato dibattito critico; si prendano almeno in considerazione alcuni studi: Angiola Maria Romanini, Monachesimo medievale e architettura monastica, in Dall’Eremo al cenobio. La civiltà monastica in Italia dalle origini all’età di Dante, a cura di Gian Carlo Alessio, Scheiwiller, Milano, 1987, p. 425-485; Marina Righetti, Architettura monastica, gli edifici. Linee per una storia architettonica, ivi, p. 486-575; Antonio Cadei, Architettura monastica, Atti dell’XI congresso internazionale di studi sull’alto medioevo, 2, Fondazione Cisam, Spoleto, 1989, p. 795-813; Beat Brenk, Benedetto e il problema dell’architettura monastica prima dell’anno Mille, in L’Europa e l’arte italiana, a cura di Max Seidel, Marsilio, Venezia, 2000, p. 16-39; Hendrik W. Dey, Architettura monastica dagli inizi all’epoca carolingia, in Storia dell’architettura italiana. Da Costantino a Carlo Magno. 2, a cura di Sible de Blaauw, Electa, Milano, 2010, p. 300-332; Gli spazi della vita comunitaria, Atti del convegno internazionale di studio (Roma-Subiaco, 8-10 giugno 2015), a cura di Letizia Pani Ermini, Fondazione Cisam, Spoleto, 2016 (De re monastica, 5); Monastères et espace social: genèse et transformation d’un système de lieux dans l’Occident médiéval, ed. par Michel Lauwers, Brepols, Turnhout, 2014. In modo particolare si consideri l’impostazione storiografica sviluppata da Gabriele Archetti [ Idem, “Dilexi decorem domus tuae”. Committenza aristocratica e popolare in ambito claustrale (secoli VIII-XII), in Il Medioevo: i committenti, Atti del convegno internazionale di studi (Parma, 21-26 settembre 2010), a cura di Arturo Carlo Quintavalle, Electa, Milano, 2011 (I convegni di Parma, 13), p. 237-251; Idem, Spazi e strutture claustrali nei commenti carolingi alla Regola benedettina, Hortus artium medievalium, 20/2 (2014), p. 448-462; Idem, Boscose solitudini. Simboli, immagini e figure dal mondo monastico, in Medioevo: natura e figura. La raffigurazione dell’uomo e della natura nell’arte medievale, Atti del convegno internazionale di studi (Parma, 20-25 settembre 2011), a cura di Arturo Carlo Quintavalle, Skira, Milano, 2015 (I convegni di Parma, 14), p. 169-182; Idem, Da Bangor a Bobbio: il monachesimo tra VI e VII secolo, in Teodolinda. I longobardi all’alba dell’Europa, Atti del secondo convegno internazionale di studi (Monza, Gazzada Schianno, Castelseprio-Torba, Cairate, 2-7 dicembre 2015), a cura di Gabriele Archetti, Fondazione Cisam, Spoleto, 2018 (Centro studi longobardi. Convegni, 2), p. 425-440] e del Centro studi longobardi, con un marcato sviluppo interdisciplinare: Living and dying in the cloister. Monastic life from the 5th to the 11th c. - Vivere e morire nel chiostro. Spazi e tempi della vita monastica tra V e XI secolo , 22st Annual International Scientific Symposium of Irclama (Zadar, 31 May - 3 June 2016) , organizing and scientific committee Gabriele Archetti, Miljenko Jurković, University of Zagreb, Brepols, Zagreb-Motovun, 2017 (Hortus artium medievalium, 23, 1-2).

[2] Living and Dying in the Cloister. Monastic Life from the 5th to the 11th c. ; per comprendere l’impostazione storiografica si veda il saggio di Gabriele Archetti, Vivere e morire nel chiostro: temi e prospettive di ricerca, ivi , p. 9-29.

[3] Viktor Novak, Zadarski Kartular samostana Svete Marije, Jugoslavenska akademija znanosti i umjetnosti, Zagreb, 1959; Eduard Peričić, Samostan svete Marije u Zadru on njegova osnutka do danas, in Kulturna baština Samostana Svete Marije u Zadru, hrg. Grga Novak, Vjekoslav Maštrović, Jugoslavenska akademija znanosti i umjetnosti, Zadar, 1968, p. 7-59; Ivo Petricioli, Umjetnička baština samostana sv. Marije u Zadru, in Kulturna baština Samostana Svete Marije u Zadru, hrg. Grga Novak, Vjekoslav Maštrović, Zadar, 1968, p. 61-100; Seid Traljić, Vodeni znakovi u dokumentima i rukoposima samostana svete Marije u Zadru, in Kulturna baština Samostana Svete Marije u Zadru, hrg. Grga Novak, Vjekoslav Maštrović, Zadar, 1968, p. 265-272; Drago Miletić, Vinko Strkalj, Arheološka istraživanja u ladama crkve sv. Marije u Zadru, Godišnjak zaštite spomenika kulture Hrvatske. Zavod za Zaštitu Spomenika Kulture Ministarstva Prosvjete i Kulture Republike Hrvatske, 2-3 (1977), p. 117-130; Zlata Jeras-Pohl, Obnova kapitula benediktinskog samostana sv. Marije u Zadru, Godišnjak zaštite spomenika kulture Hrvatske. Zavod za Zaštitu Spomenika Kulture Ministarstva Prosvjete i Kulture Republike Hrvatske, 1 (1975), p. 89-100; Pavao Galić, Bosiljka Hercig, Katalog knjiga tiskanih u XVI. stoljeću: Historijski arhiv u Zadru, Samostan Sv. Marije u Zadru, Samostan Sv. Mihovila u Zadru, Stolni kaptol zadarski, Samostan Sv. Pavla na Školjiću kod Preka, Historijski arhiv u Zadru, Zadar, 1989; Ana Marinković, Funkcija, forma, tradicija - kraljevska kapela Kolomana Učenog u samostanu sv. Marije u Zadru, Prilozi povijesti umjetnosti u Dalmaciji, 40 2003/04 (2005), p. 43-76.

[4] Marijan Grgić, Josip Kolanović, Časoslow opatice Čike, Hrvatski državni arhiv: Kršćanska sadašnjost, Zagreb, Matica hrvatska Zadar, Zadar, 2002; Marijan Grgić, Josip Kolanović, Liber horarum Cicae, abbatissae Monasterii Sanctae Mariae monialium de Iadra: Oxford, Bodleian Library: MS. Canonici Liturgical 277, Hrvatski državni arhiv: Kršćanska sadašnjost, Zagreb, Matica hrvatska, Zadar, 2002; Florin Curta, Southeastern Europe in the Middle Ages, 500-1250, Cambridge University Press, Cambridge, 2006, p. 259-261.

[5] Cfr. note 3 e 4; in particolare Marinković, Funkcija, forma, tradicija, p. 45-46.

[6] Marinković, Funkcija, forma, tradicija, p. 43-76.

[7] Theodor Rensing, Pfarrsystem und Westwerk in Corvey, Westfalen, 25 (1940), p. 51-58; Hilde Claussen, Karolingische Wandmalerei im Westwerk zu Corvey, Kunstchronik, 17 (1964), p. 173-176; Friedrich Möbius, Westwerk-Studien, Friedrich-Schiller-Univ., Jena, 1968; Sinopien und Stuck im Westwerk der Karolingischen Klosterkirche von Corvey. Die karolingischen Stuckfiguren im Westwerk von Corvey, hrg. Joachim Poeschke, Rhema, Münster, 2002; Alice Costes, Centula und Corvey: neue Überlegungen zu Liturgie und Baustruktur, In situ. Zeitschrift für Architekturgeschichte, 11, 2 (2019), p. 159-176; Matthias Exner, Von der Außenkrypta zum Westwerk, der Beitrag der Wandmalerei zum “Outstanding Universal Value” von Corvey, in Museum als Resonanzraum. Kunst - Wissenschaft - Inszenierung: Festschrift für Christoph Stiegemann, hrg. Christiane Ruhmann, Petra Koch-Lütke Westhues, Michael Imhof Verlag, Petersberg, 2020, p. 211-229.

[8] Ingrid Voss, Essen (Esnede, Asinde, Essinde, Essend, nei docc. medievali), in Enciclopedia dell’arte medievale, I, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, 1995, p. 22-29.

[9] Ivan Vitezic, Zara (Zadar), arcidiocesi di, in Enciclopedia cattolica, XII, Sansoni, Firenze, 1954, col. 1780-1784; Ivo Petricioli, Zara (serbo-croato Zadar; gr. ᾽Ιάδαιϱα, ᾽Ιάδεϱα; lat. Iader; Iadera; Iadra nei docc. medievali), in Enciclopedia dell’arte medievale, XI, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, 2000, p. 836-841.

[10] Marinković, Funkcija, forma, tradicija, p. 55-58; si veda anche Michele Bacci, Investimenti per l’aldilà: arte e raccomandazione dell’anima nel Medioevo, Laterza, Roma-Bari, 2003.

[11] Ivo Petricioli, Permanent exhibition of religious art Zadar, Turiskomerc, Zagreb, 1980. Si vedano almeno: pace di san Gregorio (scheda 22, p. 58); coperta con immagine miniata della crocifissione (scheda 23, p. 59); il braccio reliquiario di San Bonifacio (scheda 31, p. 64); reliquiario di san Quirino (scheda 32, p. 65); reliquiario di san Zoilo (scheda 35, p. 67); busto reliquiario di san Nicola (scheda 36, p. 68); reliquiario con l’icona della Vergine (scheda 41, p. 71); braccia reliquiari con i santi patroni di Zadar (scheda 66, p. 86). Si vedano anche i confronti con il tesoro della chiesa parrocchiale di Nin, cfr. Miljenko Domijan, Il tesoro della chiesa parrocchiale di Nin, Turiskomerc, Zagreb, 1983.

[12] Petricioli, Permanent exhibition of religious art Zadar, p. 47 (scheda 5. Reliquary with the head of St. Gregory).

[13] Per la storia del monastero giuliano si vedano: Gabriele Archetti, Per la storia di Santa Giulia nel medioevo: note storiche in margine ad alcune pubblicazioni recenti, Brixia sacra. Memorie storiche della diocesi di Brescia, V, 1-2 (2000), p. 5-44; Idem, Vita e ambienti del monastero dopo il Mille, in San Salvatore - Santa Giulia a Brescia. Il monastero nella storia, a cura di Renata Stradiotti, Skira, Milano, 2001, p. 109-132; Idem, Pellegrini e ospitalità nel medioevo. Dalla storiografia locale all’ospedale di Santa Giulia di Brescia, in Lungo le strade della fede. Pellegrini e pellegrinaggio nel Bresciano, Atti della giornata di studio (Brescia, 16 dicembre 2000), a cura di Gabriele Archetti, Associazione per la storia della Chiesa bresciana, Brescia, 2001 (Brixia sacra, VI, 3-4), p. 69-128; Idem, “Secundum monasticam disciplinam”. San Salvatore di Brescia e le trasformazioni istituzionali di un monastero regio, in Desiderio. Il progetto politico dell’ultimo re longobardo, Atti del Primo convegno internazionale del Centro studi longobardi (Brescia, 21-24 marzo 2013), a cura di Gabriele Archetti, Fondazione Cisam, Spoleto, 2015 (Centro studi longobardi. Convegni, 1), p. 631-680. Inoltre si vedano con bibliografia precedente: Francesca Stroppa, L’immagine della martire Giulia nel complesso monastico di San Salvatore di Brescia: mobilità di maestranze, di materiali e di idee, in Mobility of artists, transfer of forms, functions, works of art and ideas in medieval mediterranean Europe: the role of the ports, Atti del XXII convegno internazionale di studi Irclama (Poreč, 21-24 maggio 2015), eds. Vinni Lucherini, Miljenko Jurkovic (Hortus artium medievalium, 22), Brepols, Zagreb-Motovun, 2016, p. 265-282; Eadem, Il senso della croce. Forme liturgiche ed espressioni artistiche in Santa Giulia di Brescia, in Living and dying in the cloister, p. 123-139; Eadem, L’immagine di santa Giulia nell’autocoscienza monastica di San Salvatore di Brescia, in Fondazioni e rituali funerari delle aristocrazie germaniche nel contesto mediterraneo, Atti del convegno internazionale di studi (Cimitile-Santa Maria Capua Vetere, 18-19 giugno 2015), a cura di Carlo Ebanista, Marcello Rotili, Rogiosi Editore, Napoli, 2017 (Giornate sulla tarda antichità e il medioevo, 8), p. 181-206; Eadem, Tra Oriente e Occidente, le sante croci della cattedrale di Brescia, in Oriente e Occidente fra tarda antichità e medioevo: popoli e culture dalle steppe al Mediterraneo, Atti del convegno internazionale di studi (Cimitile-Santa Maria Capua Vetere, 16-17 giugno 2016), a cura di Carlo Ebanista, Marcello Rotili, Rogiosi Editore, Napoli, 2017 (Giornate sulla tarda antichità e il medioevo, 8), p. 371-398, Eadem, Desiderio. La basilica di San Salvatore di Brescia: dal monastero al museo, Prefazione di Marcello Rotili, Premessa di Gabriele Archetti, Fondazione Cisam, Spoleto, 2018 (Centro studi longobardi. Convegni 1.2).

[14] Stroppa, Desiderio. La basilica di San Salvatore di Brescia, p. 300-314.

[15] Stroppa, Il senso della croce. Forme liturgiche ed espressioni artistiche, p. 123-139; Eadem, Desiderio. La basilica di San Salvatore di Brescia, p. 300-314.

[16] Francesca Stroppa, Le rotonde, le torri e le reliquie nella diocesi di Brescia, in Medioevo: le officine, Atti del XII convegno internazionale di studi (Parma, 22-27 settembre 2009), a cura di Arturo Carlo Quintavalle, Electa, Milano, 2010 (I convegni di Parma, 12), p. 411-419; Eadem, Il senso della croce. Forme liturgiche ed espressioni artistiche, p. 123-139; Eadem, Desiderio. La basilica di San Salvatore di Brescia, p. 301 n. 72, 407, 471. Si vedano, inoltre, i riferimenti a K. Krüger e A. Baud: Kristina Krüger, Tournus et la fonction des galilées en Bourgogne, in Avant-nefs & espaces d’accueil dans l’église (épuisé) entre le IVe et le XIIe siècle , ed. Christian Sapin, Éd. du CTHS, Paris, 2002, p. 414-423; Alain Dierkens, Avant-corps, galilées, massifs occidentaux: quelques remarques méthodologiques en guise de conclusions, ivi, p. 495-503; Kristina Krüger, Die romanischen Westbauten in Burgund und Cluny: Untersuchungen zur Funktion einer Bauform, Mann, Berlin, 2003; Eadem, Architecture and liturgical practice: the cluniac “Galilaea”, in The white mantle of churches: architecture, liturgy, and art around the Millennium, ed. by Nigel Hiscock, Brepols, Turnhout, 2003 (International medieval research. Art history, 10), p. 138-159; Eadem, La fonction liturgique des galilées clunisiennes: les exemples de Romainmôtier et Payerne, in Art, cérémonial et liturgie au Moyen Âge, Actes du colloque (Lausanne-Fribourg, 24-25 mars, 14-15 avril, 12-13 mai 2000), sous la direction de Nicolas Bock, Peter Kuma, Viella, Roma, 2002, p. 169-190; Anne Baud, Cluny, un grand chantier médiéval au coeur de l’Europe, Picard, Paris, 2003, p. 164-184; Eadem, La chapelle de l’abbé et le passage Galilée à Cluny: les sources graphiques et textuelles à l’épreuve de l’archéologie, in Texte et archéologie monumentale: approches de l’architecture médiévale, Actes du colloque Centre international de congrès (Avignon, Palais des Papes, 30 novembre, 1er et 2 décembre 2000), sous la direction de Philippe Bernardi, Mergoil, Montagnac, 2005 (Europe médiévale, 6), p. 58-65; Zugänge zu Archäologie, Bauforschung und Kunstgeschichte - nicht nur in Westfalen. Festschrift für Uwe Lobbedey zum 80. Geburtstag, hgg. Mareike Liedmann, Verena Smit, Schnell & Steiner, Regensburg, 2017; per la parte rituale cfr. Frederick S. Paxton, The death ritual at Cluny in the central Middle Ages, Turnhout, 2013 (Disciplina monastica, 9).

[17] Francesca Stroppa, Santa Giulia di Brescia. Un percorso sull’iconografia claustrale della martire cartaginese, Brixia Sacra. Memorie storiche della diocesi di Brescia, XVI, 1-2 (2011), p. 61-172; Eadem, Santa Giulia. Percorsi artistici nell’agiografia monastica: l’esempio di San Salvatore di Brescia, Studium, Roma, 2012, p. 1-127; Eadem, L’immagine della martire Giulia nel complesso monastico di San Salvatore, p. 265-282; Eadem, Il senso della croce. Forme liturgiche ed espressioni artistiche, p. 123-139; Eadem, L’immagine di santa Giulia nell’autocoscienza monastica, p. 181-206; Eadem, Tra Oriente e Occidente, le sante croci della cattedrale di Brescia, p. 371-398; Eadem, Desiderio. La basilica di San Salvatore di Brescia, p. 1-516.

[18] Stroppa, Santa Giulia. Percorsi artistici nell’agiografia monastica, p. 1-127; Eadem, L’immagine della martire Giulia nel complesso monastico di San Salvatore, p. 265-282; Eadem, Il senso della croce. Forme liturgiche ed espressioni artistiche, p. 123-139; Eadem, L’immagine di santa Giulia nell’autocoscienza monastica, p. 181-206; Eadem, Desiderio. La basilica di San Salvatore di Brescia, p. 1-516.

[19] Stroppa, Il senso della croce. Forme liturgiche ed espressioni artistiche, p. 123-139; Eadem, L’immagine di santa Giulia nell’autocoscienza monastica, p. 181-206; Eadem, Desiderio. La basilica di San Salvatore di Brescia, p. 1-516.

[20] Archetti, Per la storia di Santa Giulia nel medioevo, p. 26.

[21] Per il caso della cattedrale bresciana si veda il volume Le Sante Croci: devozione antica dei bresciani, Compagnia dei custodi delle Sante Croci di Brescia, Brescia, 2001: in particolare i saggi di Giovanni Spinelli, Il culto della vera Croce nella liturgia e nella spiritualità del primo millennio, ivi, p. 13-28; Gaetano Panazza, Il tesoro delle Sante Croci nel Duomo Vecchio di Brescia, ivi, p. 85-116; Pier Virgilio Begni Redona, L’apporto dell’arte alla devozione delle Sante Croci, ivi, p. 117-142; come pure M’illumino d’immenso, Catalogo della mostra (Brescia, Musei civici di Santa Giulia, 1 aprile-1 luglio 2001), a cura di Carlo Bertelli, Clara Stella, Skira, Milano, 2001. Per la stauroteca e la croce del Campo, dopo i saggi di Panazza [Gaetano Panazza, Il tesoro delle SS. Croci nel Duomo Vecchio di Brescia, in Commentari dell’Ateneo di Brescia per l’anno 1957, Geroldi, Brescia 1958, p. 101-131; Idem, Il tesoro delle SS. Croci nel duomo Vecchio di Brescia, Compagnia dei custodi delle Sante Croci di Brescia, Brescia, 1977] si vedano Francesca Stroppa, Scheda 61, Croce del Campo, in Il Medioevo delle cattedrali. Chiesa e Impero: la lotta delle immagini (secoli XI-XII), Catalogo della mostra (Parma, Salone delle Scuderie in Pilotta, 8 aprile-16 luglio 2006), a cura di Arturo Carlo Quintavalle, Skira, Milano, 2006, p. 593-598, con bibliografia precedente; Eadem, Scheda 62, Stauroteca, in Il Medioevo delle cattedrali, p. 598-603 con bibliografia precedente; Eadem, Il Medioevo delle cattedrali, Brixia sacra. Memorie storiche della diocesi di Brescia, XI, 2 (2006), p. 508-510; Eadem, Il senso della croce. Forme liturgiche ed espressioni artistiche, p. 123-139; Eadem, Tra Oriente e Occidente, le sante croci della cattedrale di Brescia, p. 371-398; anche Francesca Tasso, Scheda XII.13. Stauroteca, in Matilde di Canossa. Il papato e l’impero: storia, arte, cultura alle origini del romanico, Catalogo della mostra (Mantova, Casa del Mantegna, 31 agosto 2008-11 gennaio 2009), a cura di Renata Salvarani, Liana Castelfranchi, Silvana Editoriale, Milano, 2008, p. 418-419; Eadem, Scheda XII.14. Croce astile detta croce del Campo, in Matilde di Canossa, p. 419-421; e Chiara Maggioni, Il tesoro delle Sante Croci, in Lombardia romanica. I grandi cantieri, a cura di Roberto Cassanelli, Paolo Piva, Jaca book, Milano, 2010, p. 99-101. Inoltre si tengano presenti gli approfondimenti storico-documentari di Giuseppe Brunati, Di un’antica stauroteca istoriata che si conserva nella vecchia cattedrale di Brescia, Tipografia delle belle arti, Roma, 1839; Andrea Valentini, Le santissime croci di Brescia, illustrate con documenti e tavole, Stab. Tip. Istituto Pavoniano, Brescia, 1882; Paolo Guerrini, Il tesoro delle Sante Croci nella storia nell’arte, Morcelliana, Brescia, 1924; come pure Gabriele Archetti, Oberto Baldrico, in Dizionario biografico degli italiani, LXXIX, Istituto Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, 2013, col. 48-51.

[22] Per il contesto storico si veda Gabriele Archetti, Chiese battesimali, pievi e parrocchie. Organizzazione ecclesiastica e cura delle anime nel medioevo, Brixia sacra. Memorie storiche della diocesi di Brescia, V, 4 (2000), p. 3-42; Idem, “Evangelium nuntiare”. Chiese, impegno pastorale dei chierici e forme di religiosità, in A servizio del Vangelo. Il cammino storico dell’evangelizzazione a Brescia, 1. L’età antica e medievale, a cura di Giancarlo Andenna, Editrice La Scuola, Brescia, 2010, p. 211-314, 620-632; Idem, “Per lodare Dio di continuo”. L’abbazia di San Benedetto di Leno, ivi, p. 399-433, 646-650; Idem, Fraternità, obbedienza e carità. Il modello cluniacense, ivi, p. 483-513, 654-659. Per la questione storico-artistica si vedano i contributi (con bibliografia precedente) di Francesca Stroppa, Il Sant’Andrea a Maderno e la Riforma gregoriana nella diocesi di Brescia, Università di Parma, Dipartimento dei Beni Culturali e dello Spettacolo, Sezione Arte, Grafiche Step, Parma, 2007 (Quaderni di storia dell’arte, 24); Eadem, Le rotonde, le torri e le reliquie nella diocesi di Brescia, p. 411-419; Eadem, L’attività dei cluniacensi nella diocesi bresciana: programmazione e identità, in Medioevo: i committenti, Atti del XIII convegno internazionale di studi (Parma, 21-26 settembre 2010), a cura di Arturo Carlo Quintavalle, Electa, Milano, 2011 (I convegni di Parma, 13), p. 442-452; Eadem, Sant’Ercolano: tradizione eremitica, vita apostolica e strutture cultuali in area benacense, in Territorio, insediamenti e necropoli fra tarda antichità e alto medioevo, Atti del convegno internazionale di studi, Luoghi di culto, necropoli e prassi funeraria fra tarda antichità e medioevo (Cimitile e Santa Maria Capua Vetere, 19-20 giugno 2014), a cura di M. Rotili, C. Ebanista, Rogiosi Editore, Napoli, 2016 (Giornate sulla tarda antichità e il medioevo, 7), p. 565-590; Eadem, L’immagine di Cluny nelle architetture delle fondazioni lombarde: il caso bresciano, in “Fondare” tra antichità e medioevo, Atti del convegno di studi (Bologna, 27-29 maggio 2015), a cura di Paola Galetti, Fondazione Cisam, Spoleto, 2016 (Incontri di studio, 14), p. 305-330; Eadem, Tradizione cultuale e reliquiaria nell’architettura bresciana , in CARE (Corpus architecturae religiosae europeae, IV-X saec.). Meaning and use of corpora, 2 4st Annual International Scientific Symposium of the Irclama (Pula, 25-28 May 2017), University of Zagreb, Brepols, Zagreb-Motovun, 2018 (Hortus artium medievalium, 24), p. 320-328; Eadem, Tradizioni architettoniche e trasformazioni otto-novecentesche nella pieve di Maderno, in Colligere fragmenta. Studi in onore di Marcello Rotili per il suo 70° genetliaco, a cura di Gabriele Archetti, Carlo Ebanista, Nicola Busino, Paolo de Vingo, II, Fondazione Cisam, Spoleto, 2019 (Centro studi longobardi. Ricerche, 3), p. 880-868.

[23] Stroppa, Le rotonde, le torri e le reliquie nella diocesi di Brescia, p. 411-419; Eadem, L’immagine di Cluny nelle architetture delle fondazioni lombarde, p. 305-330; Eadem, Tradizione cultuale e reliquiaria nell’architettura bresciana , p. 320-328.

[24] Stroppa, Le rotonde, le torri e le reliquie nella diocesi di Brescia, p. 411-419; Eadem, L’attività dei cluniacensi nella diocesi bresciana, p. 442-452; Eadem, L’immagine di Cluny nelle architetture delle fondazioni lombarde, p. 305-330; Eadem, Tradizione cultuale e reliquiaria nell’architettura bresciana , p. 320-328.

[25] Stroppa, Le rotonde, le torri e le reliquie nella diocesi di Brescia, p. 411-419; Eadem, L’immagine di Cluny nelle architetture delle fondazioni lombarde, p. 305-330; Eadem, Tradizione cultuale e reliquiaria nell’architettura bresciana , p. 320-328; sulla chiesa pievana del Sebino, cfr. Gabriele Archetti, La fede e l’aratro. Pievi e cura delle anime nel medioevo in Franciacorta, in Pievi della montagna lombarda, a cura di Oliviero Franzoni, Banca di Valle Camonica, Brescia-Breno, 2006, p. 233-275; Idem, San Vigilio e la pieve di Iseo. Note storiche per lo studio di una Chiesa locale nel Medioevo, Pubblicazione a cura della Biblioteca Comunale “Fra Fulgenzio Rinaldi” di Iseo, Brescia, 2007.


This display is generated from NISO JATS XML with jats-html.xsl. The XSLT engine is libxslt.